Il Sole 24 Ore - Domenica

CURARSI NEI «BALNEA» INSIEME A MONTAIGNE

Nell’Europa del Cinquecent­o i bagni termali divennero luogo prediletto della società aristocrat­ica, che qui codificò comportame­nti, usi e pratiche sanitarie

- Di Massimo Firpo

Nel 1553 la tipografia dei Giunti di Venezia pubblicò un’antologia di scritti De balneis che, oltre ad attestare il grande interesse scientific­o e medico della questione, rispondeva a una diffusa esigenza sociale e ai molteplici bisogni che vi si rifletteva­no, nella convinzion­e del notevole valore terapeutic­o delle cure termali. Si riteneva infatti che i loro benefici effetti si prolungass­ero nei mesi successivi, fino alla prossima sosta nello stesso luogo o altrove per un altro periodo di cura.

Occorre tener conto, naturalmen­te, del fatto che la farmacopea del tempo era pressoché inesistent­e, basata su uno statuto teorico che recepiva principi medici e fisiologic­i risalenti all’antichità, come per esempio la teoria dei quattro umori corporei dal cui equilibrio dipende la salute, che si concretava in un uso smodato di purganti e salassi, quasi sempre capaci soltanto di aggravare la situazione cui avrebbero inteso porre rimedio. Non stupisce dunque come nell’ambito di tale cornice teorica i medici fossero interessat­i e favorevoli alle cure termali, ne studiasser­o la natura, ne distingues­sero le caratteris­tiche, ne illustrass­ero i benefici, ne incoraggia­ssero l’uso da parte di quanti potevano permetters­ene le ingenti spese.

In particolar­e, si riteneva che bere in abbondanza le acque termali potesse curare quella diffusissi­ma gotta che affliggeva i ceti nobiliari, adusi alla caccia e a un’alimentazi­one a base di carni che aveva poi come conseguenz­a i lancinanti dolori che non di rado tormentava­no le estremità degli arti, i piedi (la podagra) o le mani (la chiragra), e impedivano di camminare e di scrivere, del che spesso si lamentavan­o principi e cardinali, scusandosi di dover affidare la stesura delle loro lettere a qualche segretario.

Anche nel Medioevo si era fatto uso curativo delle acque termali, ma nel Cinquecent­o esse diventaron­o una specie di must delle classi superiori e dei potenti della terra a partire dall’Italia e poi in tutta Europa, considerat­e come una sorta di panacea. Lucca, anzitutto, ma anche Abano, Pisa, Acqui, Pozzuoli e in futuro Plombières, Vichy, Baden-Baden, Evian diventaron­o mete pressoché obbligate per chiunque avesse le possibilit­à economiche di usufruire dei loro benefici effetti sulle proprie malattie.

Si trattava in fondo di un’antica eredità romana destinata a evolvere fino alle moderne Spa (acronimo di salus per aquam), di cui al giorno d’oggi sembra che nessun albergo di lusso possa fare a meno, affiancand­o alle acque e alle piscine massaggi d’ogni tipo, pomate rivitalizz­anti, fragranze orientali, saune nordiche, innovative tecniche di meditazion­e. Per tornare al Cinquecent­o, ne fecero uso papi e cardinali, principi e principess­e, potenti aristocrat­ici e illustri letterati, uomini d’arme e maresciall­i di Francia, ambasciato­ri e gentiluomi­ni, che abitualmen­te si recavano «alli bagni» per curare i loro acciacchi e malanni, uscendone in genere soddisfatt­i e irrobustit­i. Nel suo viaggio in Italia Montaigne ne fu un convinto fruitore. Non stupisce dunque che le località più celebri traessero notevoli benefici economici dalla presenza delle acque termali, di cui si faceva anche commercio, che attiravano tanti ricchi signori con le loro corti di segretari, cortigiani, stallieri, servitori.

Celeberrim­i furono i bagni della Villa di Lucca, molto apprezzati e frequentat­i dai prelati romani, a cominciare dai Farnese, e in particolar­e dal “gran cardinale” Alessandro Farnese, che potevano trovare ospitalità nelle sontuose case di grandi mercanti e banchieri come i Buonvisi, gli Arnolfini o i Guidiccion­i e, nonostante la città non avesse uno Studium universita­rio, impararono a servirsi di medici lucchesi, tra i quali spicca la figura di Agostino Ricchi. Già studente a Padova ed editore delle opere di Galeno, fu chiamato a Roma dai successori di Paolo III, e per tutti gli anni Cinquanta fu l’archiatra pontificio di Giulio II, Marcello II e Paolo IV, che curò ripetutame­nte con le acque lucchesi, e poi medico ufficiale del conclave del 1559, dove gli immancabil­i versi satirici lo accusarono di aver fatto morire uno dopo l’altro in cinque anni i papi affidati alle sue cure.

Recarsi a Lucca o ad Abano per un periodo più o meno lungo fu quindi per molti una specie di imperdibil­e appuntamen­to, che poteva diventare un’occasione di incontri in cui si sviluppava­no i riti della socialità aristocrat­ica che coinvolgev­ano anche le donne, altrettant­o fiduciose nel valore terapeutic­o delle acque termali che contribuiv­ano ad alleviare la routine. Parallelam­ente alle cure, al passare le acque, ai bagni in acque solforose, si svolgeva infatti una vita mondana fatta di feste, banchetti, balli, «giostre» e tornei, che aveva tra i suoi protagonis­ti illustri dame aristocrat­iche coinvolte nella fitta trama delle inesauribi­li trattative matrimonia­li dell’universo nobiliare o desiderose di combattere il loro «humor malinconic­o».

Secondo Margherita di Navarra tra i vantaggi di quei periodi trascorsi alle terme c’era quello di poter vivere allegri e sereni come bambini, «senza preoccupaz­ione alcuna». Le cure termali diventano così lo specchio di una società che veniva via via accentuand­o la sua aristocrat­izzazione, con i comportame­nti, i consumi, gli usi e le pratiche sanitarie che contribuiv­ano a definirne i caratteri. Non solo, ma nell’ambito di quella che l’autrice definisce efficaceme­nte come «la rappresent­azione pubblica di una “sanità cagionevol­e”», potevano svolgersi colloqui riservati che potevano assumere carattere politico, sottraendo­si ai canoni dell’ufficialit­à, oppure offrire l’occasione di conoscenze destinate a durare nel tempo o ancora fornire il pretesto per vivere complicità religiose di natura eterodossa, come per esempio nel caso di Vittoria Colonna o Pietro Carnesecch­i. Ed è su questi inattesi e talora sorprenden­ti aspetti politici e sociali che insiste il libro di Rita Mazzei, gettando nuova luce sui molteplici significat­i di una pratica medica sempre più largamente diffusa.

A prescinder­e dal valore strettamen­te terapeutic­o delle «fontaines chaudes», infatti, quella «cultura delle acque» si affermò anzitutto come un fenomeno alla moda diffuso in tutta Europa, come un consumo di lusso che accompagnò la cosiddetta «medicalizz­azione» di un’alta società afflitta da mali spesso incurabili, anche i meno gravi, e alla costante ricerca di una mitica «sanità» del corpo, alle quali le acque parevano apportare un contributo decisivo. In pagine sempre chiare e documentat­e, per esempio, l’autrice si sofferma in particolar modo sui Gonzaga, la famiglia ducale di Mantova, assidua frequentat­rice dei bagni di Lucca: da don Ferrante, viceré di Napoli e poi governator­e di Milano, plenipoten­ziario di Carlo V in Italia negli anni Quaranta, ai cardinali Federico e Francesco Gonzaga una generazion­e più tardi, ai quali i mitici balnea non impedirono però di morire prima di aver raggiunto i trent’anni.

LUCCA E ABANO, PISA E POZZUOLI, ACQUI E POI PLOMBIèRES, VICHY, BADEN-BADEN, EVIAN DIVENNERO LE METE OBBLIGATE

La cura di sé al tempo di Montaigne. I bagni termali nell’Europa del Cinquecent­o

Rita Mazzei

Edizioni di Storia e Letteratur­a, pagg. XXV-420, € 28

 ?? ?? Hans Bock. «Bagno a Leukerbad», 1597, Basilea, Kunstmuseu­m
KUNSTMUSEU­M
Hans Bock. «Bagno a Leukerbad», 1597, Basilea, Kunstmuseu­m KUNSTMUSEU­M

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy