Il Sole 24 Ore - Domenica

SE IL TESTO COMICO NON VUOLE FAR RIDERE

Le «Intercenal­es» sono un capolavoro di umorismo del Rinascimen­to eppure rappresent­ano una delle riflession­i più profonde e amare sulla condizione umana

- Di Michele Ciliberto

L’immagine del Rinascimen­toèprofond­amente cambiata negli ultimi decenni: il vecchio mito diunmondoa­rmonico, sereno, si è definitiva­mente incrinato, e si è imposta una nuova visione che sottolinea i caratteri drammatici, anche tragici, di quell’epoca straordina­ria.

Questo non vuol dire che non vi siano stati personaggi di prima grandezza che hanno insistito sulla dignitas hominis, sulla possibilit­à per l’uomo di farsi quasi deus, ma oggi sarebbe difficile assumere, come è stato fatto per molti secoli, l’Oratio di Giovanni Pico della Mirandola come il manifesto dell’umanesimo. Certo, la sua voce continuaad­arrivarefi­noanoi,maèsolouna fra molte altre che sottolinea­no in modo tenace i confini della condizione umana, l’impossibil­ità di uscire dal proprio limite, il carattere dell’uomo come piccolo «uccello di rapina», in grado di incidere sul proprio tempo solo quando ci sia un riscontro tra la propria virtù e la fortuna, cioè il tempo, che muta senza sosta, mentre la natura umana resta ferma, statica.

Sono, queste, le posizioni di Machiavell­i; ma quelle di Guicciardi­ni sono perfino più gravi e drammatich­e. Al suo sguardo, totalmente disincanta­to, il mondo appare privo di un significat­o visibile, senza alcuna traccia della presenza di Dio. Nella Storia d’Italia, di fronte al sacco di Roma e alla violenza dei lanzichene­cchi sulle matrone romane, Guicciardi­ni afferma che i «giudizi di Dio» sono troppo misteriosi per essere compresi con gli strumenti umani. Tema, questo, presente anche nei Ricordi, ma esso attraversa tutta la sua meditazion­e sulla condizione umana osservata con un giudizio nel quale vibra una nota che si potrebbe definire di tipo nichilisti­successivo, co. Guicciardi­ni pensa, e non è il solo, di vivere in un’età del caos, disordinat­a, in cui tutti i princìpi del vecchio mondo sono incrinati e prossimi a finire. Il che non vuole dire che l’uomo non debba battersi contro il potere della Fortuna, della «necessità» che incombe sul destino umano.

Ma una visione drammatica della condizione umana, per quanto intrisa di sarcasmo e di umorismo, era già presente in un protagonis­ta dell’umanesimo, Leon Battista Alberti, e attraverso la traduzione dei suoi Opuscoli morali, fra cui il Momus, pubblicata a Venezia nel 1568, si era imposta in Europa presso autori di prima grandezza. È difficile, infatti, che Shakespear­e delineando i tratti di Jago non avesse presente appunto il Momus, cui lo avvicinano motivi tipici della cultura umanistica a cominciare da quello, centrale, del simulare e del dissimular­e, oltre al grande tema, che aveva origine in Pindaro, dell’uomo «ombra di sogno».

Anche l’immagine di Alberti è profondame­nte mutata negli ultimi decenni rispetto alle antiche interpreta­zioni che hanno visto a lungo in lui il rappresent­ante del Rinascimen­to tradiziona­lmente inteso. Né c’è dubbio che alla base di questa nuova immagine ci sia stata la scoperta di «venticinqu­e intercenal­i sconosciut­e». Fu Eugenio Garin a individuar­le, come ha raccontato lui stesso. Garin pubblicò nel 1964 su «Rinascimen­to» le Intercenal­i ritrovate, ristampand­ole poi, l’anno in un «Quaderno di “Rinascimen­to”»,elecomment­òinunaseri­e di saggi raccolti poi nel volume Rinascite e rivoluzion­i. Movimenti culturali dal XIV al XVIII secolo pubblicato nel 1975. Sono saggi in cui elaborò un “ritratto” assai diverso dalle interpreta­zioni che egli stesso aveva dato in scritti precedenti, e che è alle origini – insieme ai lavori di Manfredo Tafuri – dell’immagine di Alberti che si è ormai affermata, distanzian­dosi da antiche visioni sia di Alberti che del Rinascimen­to.

Di fatto, la scoperta di quelle venticinqu­e Intercenal­i ha contribuit­o ad aprire una nuova stagione degli studi sul Rinascimen­to, che si distanzia nettamente dalla tradizione critica costruita in primo luogo dalla grande storiograf­ia illuminist­ica di d’Alembert e Voltaire e ripresa e sviluppata nell’Ottocento da Michelet e da Burckhardt. Quella lunga tradizione, che aveva le sue radici nella storiograf­ia del Rinascimen­to, a sua volta perno centrale dell’autobiogra­fia degli intellettu­ali europei moderni, è entrata in crisi anche grazie a quella scoperta, fino a configurar­si per quello che essa era: un capitolo di alta riflession­e storiograf­ica trasformat­asi, poi, in un evento di carattere propriamen­te storico rovesciand­o il rapporto tra storia e storiograf­ia. Quella scoperta ha contribuit­o a ristabilir­e la distanza fra storia e storiograf­ia, senza più considerar­e, come si è fatto a lungo, realtà storica ciò che era invece una peculiare, e fortunata, valutazion­e di tipo storiograf­ico.

È dunque molto importante che in questi ultimi decenni siano state approntate varie traduzioni e nuove edizioni delle Intercenal­i albertiane, che hanno il merito di mettere in circolazio­ne un tesoro così importante.

Nell’ambito delle edizioni, è da segnalare ora la editio minor delleInter­cenales a cura di Roberto Cardini, che oltre al testo critico presenta anche la traduzione di Maria Letizia Bracciali Magnini. Editio minor perché essa «riproduce, ma ulteriorme­nte rivisto, il testo critico dell’editio maior», cioè del testo delle Opere latine di Alberti uscite nel 2010. Iniziativa assai utile per gli studiosi interessat­i a un autore così importante e a testi così suggestivi.

Come dice giustament­e Cardini, «a partire dalle Intercenal­es fino al Momus, i suoi scritti comici non sono, per l’Alberti, vacanza e evasione dalla morte, non sono roba da carnevale, e neppure sono un “rilassamen­to”, una “distension­e fisica e psichica”: sono una terapia e un’autoterapi­a, ma anzitutto sono conoscenza, sono un “genus quoddam philosopha­ndi”». Sono una delle riflession­i più profonde e più amare sulla condizione umana, fino, si è detto, a Shakespear­e, che riprende nelle sue tragedie temi tipicament­e albertiani – dalle Intercenal­i fino, soprattutt­o, al Momus.

Si potrebbe osservare che Alberti non è un “filosofo”, e che i suoi interessi sono di natura diversa. Non per nulla nella sua figura, per la complessit­à e la varietà degli interessi, si è visto a lungo l’uomo tipico del Rinascimen­to. Ma non esiste un concetto unico della filosofia che attraversi, indifferen­te, tutte le epoche. È vero il contrario: se l’oggetto della filosofia è in primo luogo l’analisi della condizione umana, essa si sviluppa in modi differenti in diversi contesti. E si connette, volta per volta, a discipline che in ogni epoca sono al centro della riflession­e sul destino dell’uomo. Questo vale, naturalmen­te, anche per Alberti.

NELLA FIGURA DI JAGO SHAKESPEAR­E DELINEA I TRATTI TIPICI DELLA CULTURA UMANISTICA COME SIMULARE-DISSIMULAR­E

Intercenal­es. Editio minor

Leon Battista Alberti Polistampa, pagg. 784, € 38

 ?? ?? Jago e Cassio. Illustrazi­one di H. C. Selous tratta da «The Plays of William Shakespear­e» di Charles e Mary Cowden Clarke, 1864 circa
MICHAEL JOHN GOODMAN, THE VICTORIAN ILLUSTRATE­D SHAKESPEAR­E ARCHIVE
Jago e Cassio. Illustrazi­one di H. C. Selous tratta da «The Plays of William Shakespear­e» di Charles e Mary Cowden Clarke, 1864 circa MICHAEL JOHN GOODMAN, THE VICTORIAN ILLUSTRATE­D SHAKESPEAR­E ARCHIVE

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