PICCOLI GESTI DI SALVEZZA
Per arrestare desertificazione e distruzione non ci sono soluzioni magiche ma si può cominciare ad agire subito individualmente invece di aspettare le grandi decisioni politiche
«La Terra è bellissima, ma soffre di una malattia chiamata Uomo». Così si esprimeva Nietzsche, e molta gente la pensa così anche oggi. Quello che il filosofo tedesco non poteva però immaginare, è che adesso saremmo stati così preoccupati per le conseguenze delle nostre azioni.
C’è chi nega il cambiamento climatico, quasi fosse una semplice opinione, qualcosa che può entrare nel gioco delle discussioni politiche e delle dispute mediatiche, un argomento utile agli editorialisti per scrivere le loro colonne. Ma il clima non c’entra niente con l’ideologia; è legato alle leggi della natura e può essere studiato e misurato, tanto che ogni discussione è superflua perché disponiamo di lunghe e dettagliate registrazioni della temperatura e delle precipitazioni in gran parte del mondo.
È anche possibile sapere se i ghiacciai delle montagne e delle grandi calotte dell’Antartide e della Groenlandia avanzano o si ritirano, quanto resta della banchina artica in estate e se sulle coste il livello del mare sale o no. Tutti questi dati indicano, senza la minima discrepanza, che a partire da un secolo fa, e soprattutto negli ultimi vent’anni, il pianeta si sta riscaldando molto in fretta. Se questa tendenza prosegue, cioè se la temperatura continua ad aumentare allo stesso ritmo, ci saranno gravi problemi per grandi masse di popolazione umana in questo stesso XXI secolo. Vale a dire per i nostri figli e i nostri nipoti.
Dal termine dell’ultima glaciazione, circa 11.300 anni fa, viviamo un periodo di temperature più miti caratterizzato da notevoli fluttuazioni del clima, che da allora è variato quel tanto che basta a danneggiare le popolazioni umane e persino le civiltà. Tra i fattori che possono aver influito su queste oscillazioni troviamo i cambiamenti ciclici dell’attività del sole e la quantità di radiazioni emesse (le cosiddette macchie solari), o le eruzioni vulcaniche, che possono rilasciare grandi quantitativi di gas e particelle solide nell’atmosfera.
Dunque la domanda chiave è: ci troviamo semplicemente davanti a uno dei tanti sbandamenti del clima o stiamo alterando gravemente il funzionamento del pianeta – di Gaia, direbbe Lovelock – con le nostre emissioni di CO2?
Riassumendo, un conto è l’innegabile cambiamento climatico in corso e un’altra questione, molto diversa, è la causa di tale riscaldamento e se trae origine, almeno in parte, dalle attività umane. E neanche qui c’è spazio per le arguzie.
Ebbene, abbiamo un dato importante, «il dato», per affrontare il problema. Si dà il caso che il ghiaccio delle calotte groenlandesi e antartiche è ghiaccio fossile, e i suoi strati più antichi corrispondono a nevicate avvenute centinaia di migliaia di anni fa. Malgrado il ghiaccio sia neve compressa dal peso di altra neve, al suo interno rimangono sempre intrappolate delle bollicine d’aria, che ci permettono di scoprire quale sia stata la composizione delle varie atmosfere che si sono susseguite. Dalle analisi vediamo che è oggi in circolo una quantità di CO2 maggiore che nei precedenti periodi caldi interglaciali, e l’aumento di questo gas coincide con l’industrializzazione di fine XIX secolo e con la sua accelerazione negli ultimi decenni. Dato che la CO2 causa l’effetto serra e l’emissione di gas industriali non smette di aumentare, è prevedibile che le temperature del pianeta continuino a crescere, con conseguenze molto deleterie per l’umanità.
L’emissione di gas industriali non è l’unico grave squilibrio che abbiamo prodotto nel sistema Terra. A parte contaminare praticamente tutte le masse d’acqua siamo responsabili della scomparsa di innumerevoli specie, tanto in maniera diretta quanto attraverso la distruzione dei loro habitat. Adesso stiamo eliminando molte specie marine, comprese quelle che ci forniscono nutrimento. La portata della distruzione è tale che si è parlato della sesta grande crisi della biosfera, vale a dire l’ultima delle estinzioni di massa.
Cosa faremo? Il presuntuoso
Homo sapiens non può controllare il movimento dei continenti (che pure subiamo sotto forma di terremoti e maremoti), né i movimenti del pianeta e la sua esposizione al sole, l’innalzamento delle catene montuose, la circolazione atmosferica (che produce localmente fenomeni catastrofici) o i vulcani (altra fonte di tragedie), ma influiamo sulla quantità di CO2 presente nell’atmosfera e in due modi diversi, i cui effetti tuttavia si sommano: direttamente, bruciando grandi quantità di combustibili fossili, e indirettamente, distruggendo gli assorbitori generali di CO2, che sono i boschi e altri ecosistemi. Tutto ciò che facciamo in quanto umani industrializzati ci allontana da una nuova glaciazione – ottima notizia – ma ci avvicina anche a una desertificazione delle regioni calde e temperate del pianeta, che sono quelle in cui vive la maggior parte de- gli esseri umani e dove produciamo il nostro cibo.
Sia che la nostra civiltà influisca molto sul clima, bruciando e tagliando, sia che influisca poco, cosa faremo se questo trend dovesse continuare? (Stiamo pensando a livello di specie, cioè con lo sguardo rivolto alle prossime generazioni.) Migreremo a milioni verso il Nord?
Non abbiamo soluzioni magiche per le sfide che l’umanità deve affrontare rispetto alle risorse naturali offerte dal pianeta su cui ci siamo evoluti. Non ci presentiamo a voi come dei guru con la verità in tasca, ma come scienziati umili e tormentati. Ci vengono in mente almeno due osservazioni finali, che forse potranno essere di qualche aiuto.
La prima è che la dimensione del problema, confrontata alla piccolezza di ciascuno di noi, non deve portarci alla paralisi, alla tentazione di non fare nulla. A cosa serve piantare un albero – o non abbatterlo – depurare le acque reflue di un piccolo villaggio o salvare dall’estinzione un’umile specie vegetale? Non dovremmo concentrarci sulle «grandi decisioni»? E cosa possiamo fare noi riguardo a queste? La nostra risposta è il motto del movimento conservazionista: «Pensa globalmente, agisci localmente».
La seconda osservazione è più sentimentale. Gli inni guerrieri descrivono spesso la patria come la terra dei nostri padri, la casa che abbiamo ereditato e che abbiamo l’obbligo di difendere dai nemici determinati a sottrarcela ecc. Una patria meravigliosa come quella ricevuta in eredità, che è l’invidia di tutti e non ha eguali. Quanto siamo stati fortunati a nascere proprio lì.
Ma non sembra che trattiamo questa sacra culla con il rispetto che meriterebbe. Forse sarebbe meglio se, oltre a vederla come la terra dei nostri genitori, cominciassimo a pensare all’intero pianeta come alla terra dei nostri figli.
IL MOTTO DEL MOVIMENTO CONSERVAZIONISTA è PENSARE GLOBALMENTE MA AGIRE LOCALMENTE
Breve storia della Terra (con noi dentro)
Juan Arsuaga e Milagros Albaga La nave di Teseo, pagg. 224, € 19 Questo articolo è tratto dal volume che sarà in libreria dal 3 marzo