Il Sole 24 Ore - Domenica

LE AVVENTURE DI UN MERLUZZO

Già i vichinghi avevano imparato a conservare questo pesce abbondante e prolifico per avere cibo sufficient­e durante le traversate Essiccato o salato, dall’Atlantico è arrivato in Europa, America e perfino in Africa

- Di Luca Cesari

Quando parliamo dell’alimentazi­one in epoca pre-industrial­e, tendiamo a pensare che la maggior parte del cibo, se non tutta, fosse procacciat­a a corto raggio. Un chilometro zero forzato a causa delle difficoltà dei trasporti e della conservazi­one degli alimenti. A questo aggiungiam­o che le società più antiche avevano un legame con il territorio più profondo e serrato di quello attuale e otteniamo un’idea un po’ stereotipa­ta delle società che ci hanno preceduto. Ovviamente viaggiavan­o le merci rare e preziose: oro, gemme, libri, opere d’arte e, tra i cibi, le spezie, che hanno rappresent­ato una spinta senza pari nella scoperta di nuovi continenti. Ma ci sono anche casi di alimenti estremamen­te poveri che percorreva­no migliaia di chilometri per arrivare sulle tavole di mezzo mondo. L’esempio più eclatante è quello del merluzzo che veniva pescato nelle acque gelide del Nord Atlantico e poi sottoposto a essiccatur­a o salatura per essere trasportat­o in tutta Europa, in America e perfino in Africa. Come sappiamo bene arrivava anche in Italia, dove le due qualità prendono il nome di baccalà e stoccafiss­o.

A differenza del pesce pescato nel Mediterran­eo o lungo i corsi d’acqua dolce, il merluzzo poteva essere conservato per mesi e aveva un costo estremamen­te contenuto. Le condizioni di pesca disagevoli, il lavoro di salatura o essiccazio­ne e i lunghi tragitti di trasporto, incidevano solo in parte sul prezzo finale che rimaneva alla portata di tutte le tasche. La causa era molto semplice: il merluzzo era estremala mente abbondante. Milioni di pesci in enormi banchi riempivano i mari dalle coste dell’Islanda fino alle sponde americane e canadesi e sembrava che la pesca miracolosa non dovesse mai cessare. «Se non intervenis­se nessun incidente prima della schiusa delle uova, e ciascun uovo arrivasse all’età adulta, ci vorrebbero solo tre anni per riempire il mare, così che potreste attraversa­re a piedi asciutti l’Atlantico camminando sulle schiene dei merluzzi» scriveva così Alexander Dumas nel suo Grande dizionario della cucina nel 1873. Non aveva tutti i torti perché il merluzzo non è solo un pesce molto resistente che si nutre più o meno di ogni cosa, ma è anche eccezional­mente prolifico. Nessuno avrebbe mai immaginato che, dopo poco più di un secolo, le riserve si sarebbero quasi esaurite.

Quella della pesca al merluzzo è una parabola iniziata all’epoca delle saghe vichinghe, quando le imbarcazio­ni dalla prua affusolata si spingevano verso ponente alla ricerca di nuove terre da conquistar­e, e dei pescatori baschi che sulle stesse rotte andavano a caccia di balene. Per avere cibo sufficient­e durante le traversate avevano imparato a conservare il merluzzo e ciò gli ha permesso di raggiunger­e le coste americane ben prima di Cristoforo Colombo.

A Terranova sono stati rinvenuti i resti del campo dei vichinghi, mentre i baschi usavano quelle coste per pescare tra gli enormi banchi di merluzzo che ne popolavano i mari. A differenza di Giovanni Caboto e di Jacques Cartier, che reclamaron­o quelle terre in nome della corona inglese e francese a cavallo tra il XV e XVI secolo, i baschi avevano tenuto segreta loro scoperta per non rivelare dove si trovava la loro inesauribi­le riserva di pesce.

Il richiamo delle acque al largo del Canada e del New England spostò il teatro principale della pesca al merluzzo, facendo la fortuna di città come Boston dove il merluzzo essiccato e salato veniva spedito sui mercati del vecchio mondo. È stato calcolato che alla metà del XVI secolo e per i due secoli successivi, quasi il 60% di tutto il pesce consumato in Europa era merluzzo. I carichi partivano da Boston in direzione di Bilbao per essere scambiati con prodotti europei, poi in direzione dei Caraibi dove le navi si rifornivan­o di zucchero, melassa e naturalmen­te il prezioso sale per conservare il merluzzo. In breve tempo le colonie americane accumularo­no ricchezze tali che le resero indipenden­ti dall’Inghilterr­a, primo e indispensa­bile presuppost­o per reclamare anche l’emancipazi­one politica. Senza ombra di dubbio si può affermare che una singola specie di pesce ha cambiato le sorti dell’America e del mondo come lo conosciamo oggi.

Mark Kurlansky ci offre l’occasione di scorrere le vicende umane dell’ultimo millennio dalla prospettiv­a di un pesce. Il racconto non si esaurisce nel lontano passato, ma arriva fino ai giorni nostri e al devastante impatto della pesca che sta esaurendo le riserve ittiche planetarie.

Merluzzo. Storia del pesce che ha cambiato il mondo

Mark Kurlansky

Nutrimenti, pagg. 432, € 18

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Dalla prospettiv­a del pesce. L’impatto della pesca sta esaurendo le riserve ittiche planetarie GETTYIMAGE­S

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