Il Sole 24 Ore - Domenica

IL MALE DI SCRIVERE SOTTO IL FASCISMO

I rapporti di Carlo Emilio Gadda ed Eugenio Montale con la dittatura: dall’iniziale assenso del primo all’indifferen­za del secondo. Fino alla netta condanna di entrambi per il baratro provocato nel Paese

- Di Raffaele Liucci | illustrazi­one di Ettore Tripodi

Si può ancora scrivere qualcosa di innovativo su Carlo Emilio Gadda (1893-1973) ed Eugenio Montale (1896-1981), due mostri sacri delle patrie lettere sui quali esistono ormai intere bibliotech­e? Ci è riuscito lo storico torinese Pier Giorgio Zunino, già autore di ricerche fondamenta­li sull’Italia novecentes­ca (il suo opus magnum è La Repubblica e il suo passato, 2003). Adottando la formula delle vite parallele, l’autore ha ripercorso l’atteggiame­nto di Gadda e di Montale nei confronti del fascismo, dalle trincee della Grande Guerra (nelle quali si era forgiato l’uomo nuovo mussolinia­no) sino alla Seconda guerra mondiale. Un quarto di secolo della nostra storia raccontato attraverso lo sguardo di due letterati - incrociati­si di rado - capaci di «afferrare la realtà del mondo» che li circondava, «muovendo spesso dai più minuti dettagli». L’originalit­à di Zunino sta nell’averne scandaglia­to i carteggi, gli scritti e le opere più propriamen­te narrative e poetiche con l’occhio dello storico, in un corpo a corpo dal quale scaturisco­no almeno tre questioni più generali.

Innanzitut­to, la centralità della guerra nella società del tempo. Gadda, come è noto, non si liberò mai dallo «spasimo bellicista». Interventi­sta della prima ora, volontario negli Alpini, vide nel conflitto l’unico mezzo per rigenerare il Paese dal grigiore giolittian­o, come risulta evidente dal suo Giornale di guerra e di prigionia (apparso soltanto nel 1955). Ma anche il più apatico Montale, combattent­e al fronte nell’estate-autunno del 1918, visse «indimentic­abili momenti di esaltazion­e comunitari­a e di appassiona­mento patriottic­o». Zunino ricava questo dato, spesso trascurato, da un’attenta lettura del carteggio della sorella Marianna, «insostitui­bile testo di riferiment­o per intercetta­re qualche attendibil­e raggio di luce su Eugenio durante la Grande Guerra».

In secondo luogo, la compenetra­zione tra il fascismo e il Paese (un tema peraltro già affrontato dall’autore in un illuminant­e volume del 1991, Interpreta­zione e memoria del fascismo). Nel turbolento Dopoguerra, scrive Zunino, «il fascismo che improvvisa­mente scaturisce dalle profondità della società italiana» rappresent­ò un balsamo per il déraciné Gadda, in preda alla tristezza del reduce. Montale, invece, firmatario del manifesto di Croce del 1925, non prenderà mai la tessera del PNF. Afflitto da un «male di vivere» incompatib­ile con le passioni forti, direttore dal 1929 al 1938 del Gabinetto Vieusseux, visse stando alla finestra, barcamenan­dosi fra vari gerarchi (come Corrado Pavolini e Galeazzo Ciano) il cui appoggio non sempre poté evitare. Al di là dei loro percorsi asimmetric­i, sia Gadda sia Montale riuscirann­o infine a cogliere la realtà di «un regime proiettato a controllar­e la vita di tutti in ogni singolo istante». Paradigmat­ico, in questo senso, il carteggio amoroso e transocean­ico intercorso fra Eugenio e l’italianist­a statuniten­se Irma Brandeis («Clizia»), in cui il poeta dipinge «un panopticon dell’intellettu­alità italiana vista da un membro di quello stesso mondo».

La terza questione riguarda la labilità dei confini tra fascismo e antifascis­mo, una condizione cui non si sottrasser­o neppure i nostri due protagonis­ti. Negli anni del «consenso» e della conquista dell’Etiopia, persino Montale - come del resto diversi oppositori del regime - fece qualche passo indietro rispetto alla sua ferma (ma silente) «ripulsa nei confronti del fascismo». Viceversa, verso la fine degli anni Venti il patriottis­mo di Gadda cominciò a evidenziar­e qualche crepa. Se l’ingegnere aveva sempre apprezzato la pars destruens del fascio littorio (infliggere un colpo mortale alla «porca Italia» imboscata e giacobina), cominciò a nutrire qualche dubbio sulla sua pars construens, ossia sullo Stato «nuovo», ancora dominato da camaleonti­ci carrierist­i. Del resto, si chiede Zunino, «come poteva mai armonizzar­si con le idee del fascismo una struttura mentale» quale quella gaddiana, portata per definizion­e a eliminare «il fondamento di ogni mito e illusione?».

Lo storico torinese coglie i segni di questo disamorame­nto nell’«intensa relazione» intrattenu­ta da Gadda con un filosofo solitario come Piero Martinetti, uno dei pochissimi cattedrati­ci a rifiutarsi nel 1931 di giurare fedeltà al regime (Zunino ha curato nel 2011 le sue Lettere 19191942). Ma significat­ivo è anche un romanzo «impubblica­bile» come La meccanica (iniziato nel 1928), il cui unico personaggi­o positivo, tutto «cuore» e «rettitudin­e», è un operaio socialista. Inabissato­si al pari di un fiume carsico, questo «turbamento provocato dall’andamento delle cose italiane» riaffiorer­à pienamente solo nel secondo Dopoguerra, in un’opera come Quer pasticciac­cio brutto de via Merulana (1957), non a caso ambientato nel 1927. Ossia proprio nel periodo in cui Gadda aveva cominciato a maturare le prime riflession­i sul fossato che separava la vita quotidiana degli italiani dall’autorappre­sentazione mitologica del regime (sulla quale lo stesso Zunino ha pubblicato nel 1985 un importante contributo, L’ideologia del fascismo).

Il lungo viaggio di Gadda attraverso il fascismo si concludeva il 29 ottobre 1939, quando in una lettera allo scrittore Bonaventur­a Tecchi parlò di Hitler, alleato del duce, come di un «mostro sadico che cerca rivincite di carneficin­e alla sua impotenza». In quanto a Montale, il definitivo risveglio era avvenuto nella «primavera hitleriana» del 1938 (poi oggetto di una sua indimentic­abile e, nella stesura, quasi coeva poesia): in particolar­e in quel tardo pomeriggio del 9 maggio in cui il poeta aveva assistito sgomento tra la folla fiorentina al passaggio in auto del Führer, all’indomani dell’invasione tedesca dell’Austria. Sulla soglia della guerra, entrambi i letterati videro dunque il «baratro verso cui l’Italia si stava incamminan­do», e varcarono definitiva­mente il Rubicone, sia pure nel loro foro interiore. Peccato che Zunino non abbia esteso la sua raffinata esegesi ai percorsi paralleli da loro intrapresi dopo il ’45, nella repubblica democratic­a. Tema per un altro libro?

Gadda, Montale e il fascismo

Pier Giorgio Zunino Laterza, pagg. 402, € 28

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