ELOGIO DELLA LETTURA LENTA E DELLE LETTERE
«In contrattempo» è una difesa del valore degli studi letterari, della riflessione, dell’approfondimento, e una deplorazione della cultura tecno-centrica e icono-centrica
In contrattempo di Gian Luigi Beccaria è il numero 200 delle Vele Einaudi, collana di solito sintonizzata su un taglio breve e su un tono graffiante, variamente provocatorio, discontinuamente felice negli esiti.
A chi lo legge converrà innanzitutto ricordare che il piemontese storico della lingua ha raggiunto un’ampia popolarità negli anni 80 del secolo scorso grazie alla sua assidua partecipazione a un programma televisivo, Parola mia, che si concludeva invariabilmente con la sua frase: «La televisione è la televisione, ma un buon libro è sempre un buon libro».
Converrà anche rammentare che in un’epoca in cui snobbare, come si dice, i mezzi di comunicazione di massa era di prammatica tra gli accademici (i quali ben presto avrebbero sgomitato per essere visibili in televisione, e poi nelle reti sociali), lo stesso Beccaria si era chinato nel 1978 sul linguaggio giornalistico con un saggio in cui affrontava senza pregiudizi usi e costumi della comunicazione contemporanea («il problema – vi concludeva – resta… sollevare la cultura, non tanto abbassare la lingua»).
Converrà, infine, tener presente che ancora Beccaria nel 2004 ha capitanato un piccolo gruppo di colleghi critici verso gli effetti sulle discipline umanistiche della riforma (politicamente trasversale, e non solo italiana) attraversata dall’Università nel processo che in tutta Europa si etichetta oggi come Bologna (e da noi «tre più due»). Ne sortì un Tre più due uguale zero edito da Garzanti.
Insomma, la riflessione che Beccaria ricama attorno al sottotitolo Elogio della lentezza, dichiarazione d’amore per la lettura lenta, approfondita e riflessiva, difesa del valore degli studi letterari e deplorazione della cultura tecno-centrica e iconocentrica, non è lo sfogo di un bolso letterato che ha trascorso la vita contando le sillabe di dimenticabili sonetti o che ha vissuto nascostamente negli umbratili recessi di un sistema scolastico e universitario ormai obsoleto.
È invece il logico sviluppo di un percorso che ha condotto uno studioso raffinato ed acuto dalla cauta e fiduciosa apertura verso nuove forme per comunicare, insegnare e apprendere la cultura letteraria a un bilancio sostanzialmente e lucidamente negativo sugli esiti di quel processo e sulle sue conseguenze. Il titolo In contrattempo fa riferimento a due costanti del discorso: da un lato, la valorizzazione – non nuova, se si pensa alla definizione che già Nietzsche dava della filologia come arte della lentezza – di ogni forma del rapporto col testo che privilegi la riflessione, l’indugio, lo scavo paziente, l’esitazione; da un altro, la dichiarata ed esibita inattualità di considerazioni che dissacrano il culto della rapidità, dell’automatismo, dell’accumulazione vertiginosa di dati, della superficialità a volo d’uccello promossa a tecnica di lettura innovativa.
In contrattempo sembra costruito apposta, col bilancino, per far sbuffare coloro che considerano le critiche di Beccaria inattuali, di retroguardia se non addirittura dannose per la promozione delle Humanities o per l’aumento del loro appeal nel mondo di oggi. Pare fatto apposta per intersecare fastidiosamente i sentieri di chi oggi è considerato (o: si considera) incondizionatamente progressista, e quelli di chi passa per essere reazionario. Ed è forse, nell’uno o nell’altro caso, solo superficiale, o almeno amante delle semplificazioni eccessive. Che sono quelle che si sciolgono se al ritmo del botta-e-risposta delle affermazioni tranchantes si preferisce quello della riflessione appunto lenta, il distingue frequenter che mette il dito nelle piaghe. Accade nelle pagine in cui Beccaria si ferma ancora sui danni prodotti dalla «scuola troppo facile e permissiva», di cui dice ovvietà che pure sono ancora inascoltabili per molti: «siamo convinti – scrive Beccaria – che essa aiuta soltanto le classi medio-alte, le quali trovano comunque un modo di sistemarsi. Il problema della disuguaglianza non lo si abolisce abolendo le conoscenze. Si è cercato di raggiungere le masse abbassando l’asticella dei saperi, semplificando e riducendo i programmi di studio». Senonché «l’attitudine pedagogica “rassicuratrice” ha aumentato, anziché diminuire,
UN LIBRO CHE PARE FATTO APPOSTA PER INNERVOSIRE CHI OGGI SI CONSIDERA PROGRESSISTA O REAZIONARIO
i dislivelli». A conferma che il problema della disuguaglianza resta, di contro agli strombazzamenti oggi di moda su vantato merito e pretesa eccellenza, il primo e più grave problema di una scuola in cui il Paese s’affossa, anziché sollevarsi. Che sarebbe l’Italia con un ministero dell’istruzione e della lotta alla disuguaglianza, che si ottieneanche con la promozione dei «capaci e meritevoli anche se privi di mezzi» di cui parla la Costituzione?
In contrattempo, scritto da un linguista, è anche utile per innervosire (proficuamente) i colleghi che, come chi scrive queste righe, sospettano che di letteratura nell’istruzione italiana se ne sia dispensata anche troppa, a scapito della riflessione sulla lingua. Quest’ultima, avanza con passione Beccaria, «va insegnata a stretto contatto con la letteratura perché chi legge con attenzione è catturato inesorabilmente dall’interesse per la lingua e chi ha interesse per la lingua non può non essere attratto dalla letteratura, maestra nell’eseguirla». Sono spunti istruttivi. Parole da rimeditare con la lentezza cui fa riferimento il sottotitolo. Una chimera – e Beccaria lo sa bene – in tempi in cui ogni pagina, ogni riga, ogni post scritto scompaiono in un ette, compressi dentro tempi sempre più striminziti.
Gian Luigi Beccaria In contrattempo. Un elogio della lentezza Einaudi, pagg. 112, € 12