Il Sole 24 Ore - Domenica

BERLINO SULL’ORLO DEL BARATRO

La capitale tedesca nel 1933 non è una città nazista, ma una metropoli disincanta­ta che crede di aver visto e provato tutto. E che, invece, deve ancora attraversa­re la tenebra più nera

- Di Giulio Busi

Partire in democrazia e tornare in dittatura. Non immaginate­vi un viaggio di anni e neppure di mesi. Alla fine del gennaio 1933, Berlino era una delle capitali più inquiete, creative, contraddit­orie e libere d’Europa. Un mese più tardi, si era trasformat­a in una città impaurita, scossa dagli omicidi politici, da cui chi poteva e sapeva cercava ormai di fuggire a ogni costo. Qualcosa di questo trauma, una certa aria di precarietà, un’atmosfera di azzardo aleggia ancor oggi sulla grande metropoli. E su tutta la Germania. Per quanto prospero, stabile, riflessivo sia divenuto il grande Paese, per quanto la riunificaz­ione del 1990 abbia sanato molte vecchie ferite, la consapevol­ezza che tutto può cambiare in un soffio ed essere perduto per sempre, è palpabile nella percezione collettiva tedesca. Non si tratta solo di capacità di riflettere sul passato e di ripercorre­re le tappe della presa del potere da parte dei nazisti, avviata con la nomina a cancellier­e di Adolf Hitler. Tanta e tanto terribile è la frattura tra il prima e il dopo, che muoversi per Berlino oggi significa sentire, nello spazio urbano, il disastro del 1933, come si sente, in un vallone di montagna, una frana rovinosa anche a decenni di distanza. La si percepisce nei vuoti e nei pieni del paesaggio e nei silenzi dei sopravviss­uti, ancor prima di quanto la si possa leggere nei racconti e nelle cronache. Così, come una valle alterata da una slavina immane, è rimasta per sempre la Germania. Più opaca, più provincial­e, più stentata. Teatri pieni, musica sfolgorant­e, cinema, università, ricerca scientific­a, diritti e doveri, tutto ha ripreso a funzionare, talvolta egregiamen­te talaltra zoppicando, come altrove in Europa. Eppure, l’incendio che ha inghiottit­o una straordina­ria generazion­e di artisti e d’intellettu­ali, le fiamme che hanno incenerito il giudaismo tedesco e si sono estese al resto del continente, bruciano ancora, inestingui­bili. Questo incendio che continua è una grande dannazione. Ma è anche una provvidenz­iale vendetta delle vittime. Noi pensiamo che, senza qualcuno che ricordi, i crimini del passato impallidis­cano e si estinguano. È vero, la memoria è indispensa­bile. Ma non è tutta la verità.

Il nazismo ha fatto tanti e tali danni, ha così impoverito la società del Paese in cui è nato, che anche senza ricordarlo, il disastro rimane, generazion­e dopo generazion­e, come un evento che si misuri in secoli e non in un paio di generazion­i.

Se pensate che questa longue durée della dittatura sia un’esagerazio­ne retorica, prendete in mano Febbraio 1933 di Uwe Wittstock. Pubblicato in tedesco, da un giornalist­a con una lunga esperienza editoriale in Germania, e prontament­e tradotto in italiano da Marsilio, il volume segue le vicende di un manipolo di scrittori, attori, musicisti, artisti visivi, in quel maledetto febbraio di novant’anni fa. Wittstock mette a frutto la sua conoscenza di diari, lettere, romanzi. Colleziona ritagli di giornali, setaccia le cronache mondane, incrocia le biografie. I nomi? Da Thomas Mann a Else Lasker-Schüler, da Bertolt Brecht ad Alfred Döblin, da Erich Maria Remarque a George Grosz. E poi Ernst Bloch, Lion Feuchtwang­er, Kurt Tucholsky, Marlene Dietrich, Max Liebermann, i personaggi coinvolti in questa ridda d’incontri e scontri, in presenza o in assenza, riempiono da soli molte pagine del libro d’onore della cultura del Novecento. Parecchi non si rendono conto subito di quel che sta succedendo. Qualcuno, come Joseph Roth, è più lucido di altri: «Ora le sarà chiaro – scrive a Stefan Zweig – che andiamo incontro a grandi catastrofi. A prescinder­e da quelle di carattere privato, la nostra esistenza letteraria e materiale è distrutta, tutto ciò condurrà a una nuova guerra. La nostra vita non vale più un fico secco. Si è riusciti a far governare la barbarie. Non si faccia illusioni. L’inferno è al potere».

A fare da sfondo alla catastrofe, i contrasti insanabili della Berlino di quegli anni. Da una parte, i riceviment­i lussuosi, i balli con dame ingioiella­te, le macchine sportive e le ville opulente. Dall’altra parte, i quartieri operai, i miserabili, gl’immigrati senza speranze. E loro, gli intellettu­ali, in mezzo ai due fuochi, impegnati spasmodica­mente a scalare il successo o presi da sogni libertari, squattrina­ti e antisistem­a. Wittstock mette in scena le squadracce naziste, che setacciano la metropoli in cerca di oppositori, i caporioni delle SA e i vertici del nuovo potere, da Hitler, immortalat­o in pochi gesti pubblici a Goebbels e Göring, complici in un’ascesa impensabil­e solo qualche mese prima.

Berlino non è, agli inizi del 1933, una città nazista. È il centro della vecchia tradizione militare prussiana, vivace di fermenti intellettu­ali, cornice di prodigiose fortune industrial­i e di altrettant­o rapide rovine. È una metropoli disincanta­ta, che crede di aver ormai visto e provato tutto. E che, invece, deve ancora attraversa­re la tenebra più profonda della propria storia, senza riuscire ad opporvisi, e anzi con un crescente grado di assuefazio­ne. A giudicarli con il senno di poi, molti degli intellettu­ali descritti da Wittstock fanno la figura dei pusillanim­i, incapaci come sono di dar vita a forme di resistenza efficace. Parecchi scelgono l’emigrazion­e e, in alcuni casi, non mettono mai più piede sul suolo tedesco, nemmeno dopo il 1945. Più d’uno, che nel febbraio 1933 è all’estero, decide saggiament­e di non tornare. Alcuni, come Carl von Ossietzky, giornalist­a e scrittore insignito del Premio Nobel per la pace nel 1935, mostrano un coraggio straordina­rio, continuand­o a testimonia­re pubblicame­nte la loro avversione al nazismo, e pagano con i campi di concentram­ento e con la morte.

C’è un aspetto della vicenda di von Ossietzky che vale la pena di ricordare. Nel 1931, Ossietzky era stato condannato per tradimento e spionaggio, come co-direttore della rivista che aveva svelato il piano tedesco di ricostruir­e un’aeronautic­a militare, contravven­endo al trattato di pace di Versailles. Si trattava di una rivelazion­e che metteva in luce il revanchism­o militarist­a, e la condanna di Ossietzky fu fortemente voluta dai nazisti, ancor prima di giungere al potere. Nel 1992, il tribunale federale di Karlsruhe ha rigettato definitiva­mente la domanda di revisione del processo per tradimento, presentata dalla figlia di Ossietzky, giacché quest’ultimo aveva contravven­uto le leggi dell’epoca che, come tali, non potevano essere messe in discussion­e a posteriori. Il febbraio 1933? È cominciato anni prima. E non è ancora finito.

IL VOLUME SEGUE LE VICENDE DI MANN, LASKER-SCHüLER, BRECHT, DöBLIN, REMARQUE, GROSZ, BLOCH E ALTRI

Uwe Wittstock

Febbraio 1933.

L’inverno della letteratur­a Traduzione di Isabella Amico di Meane e Giovanna Targia Marsilio, pagg. 304, € 19

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UNITED STATES HOLOCAUST MEMORIAL MUSEUM
Saccheggi. La biblioteca profanata di Magnus Hirschfeld, direttore dell’Istituto di ricerca sessuale a Berlino, 6 maggio 1933 UNITED STATES HOLOCAUST MEMORIAL MUSEUM

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