UNA PSICOTERAPIA LUNGA ED EFFICACE
Esistono prove incontrovertibili che nel tempo per ansia e depressione funzioni meglio dei farmaci. Eppure si continua a contrapporla all’approccio biologico, a discapito del paziente
Ancora a chiederci se la psicoterapia è efficace? Repetita iuvant. Sulla questione è intervenuto sulla «Domenica» Gilberto Corbellini nel suo articolo del 29 febbraio a proposito del libro di Thomas Insel, Healing: Our Path from Mental Illness to Mental Health (Penguin, 2022). È possibile dirimere la questione una volta per tutte? No di certo se usiamo termini generici come «disturbi mentali». Occorre essere specifici, cioè riferirsi, come ha fatto lo stesso Corbellini, a singole diagnosi, per esempio a quelli che vengono chiamati «disturbi mentali comuni», cioè ansia e depressione, che sono le condizioni di cui soffre la maggior parte dei pazienti.
Non c’è bisogno di basarsi su opinioni personali o sul «sentito dire», occorre guardare attentamente alle ricerche scientifiche, a quelli che vengono chiamati «studi clinici controllati randomizzati» (Randomized Clinical Trials), che dovrebbero essere utilizzati dai medici come una guida, un po’ come i marinai leggono le previsioni del tempo. Ebbene, esistono ormai prove incontrovertibili che per l’ansia e la depressione la psicoterapia in media è efficace e, in alcuni casi – anche se la contrapposizione è insensata – più dei farmaci. Tra i tanti studi, citiamo una metaanalisi appena pubblicata su World Psychiatry, organo ufficiale della World Psychiatric Association, dove Pim Cuijpers e collaboratori hanno preso in rassegna 409 studi sulla terapia delpunto la depressione, per un totale di 52.702 pazienti, giungendo a queste conclusioni: «È documentato che la terapia cognitivocomportamentale per la depressione è efficace nelle sue diverse formulazioni e per differenti età, tipologie di pazienti e contesti. Tuttavia, da questa meta-analisi non emerge con evidenza una superiorità della CBT rispetto ad altre psicoterapie per la depressione». La psicoterapia sembra essere efficace quanto le farmacoterapie a breve termine, ma più efficace a lungo termine. È questo dato del miglioramento a lungo termine che ci sembra particolarmente interessante, perché significa una minor incidenza di ricadute.
Dati come questi vengono ignorati dalla maggioranza dei medici e degli amministratori della salute mentale. Il trattamento principale è sempre quello farmacologico. Lo stesso Thomas Insel, che ha guidato per 13 anni il National Institute of Mental Health degli Stati Uniti (la più importante fonte di finanziamenti nel campo della salute mentale nel mondo), investendo 20 miliardi di dollari per le neuroscienze e la genetica, privilegiandola dunque rispetto alle ricerche cliniche, si è detto poi pentito, al da riconoscere che sul piano concreto queste ricerche non hanno portato benefici «concreti» ai pazienti, le cui condizioni, anzi, nell’arco di trent’anni sarebbero addirittura «peggiorate».
Come mai si continua a contrapporre l’approccio biologico alla psicoterapia, a volte addirittura svalutandola? Tra le tante cause, citiamo la scarsa articolazione diagnostica (ci sono disturbi depressivi e bipolari che senza ombra di dubbio richiedono la cura farmacologica, e forme depressive della personalità che si giovano della psicoterapia o di un trattamento integrato) e l’idea di una veloce e «misurabile» riduzione sintomatologica.
Può essere interessante segnalare a questo proposito che nel 2022 è stato pubblicato in Italia il documento finale della «Consensus Conference sulle terapie psicologiche per ansia e depressione», costituita con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità a partire da un convegno organizzato da Ezio Sanavio a Padova nel novembre 2016. A quel convegno era stato invitato David Clark, che aveva presentato il programma inglese Improving Access to Psychological Therapies (migliorare l’accesso alle terapie psicologiche), da lui promosso assieme a Richard Layard, docente di Economia alla London School of Economics, e poi attivato dal governo inglese nel 2008. Secondo London School of Economics, migliorando l’accesso ai trattamenti psicologici nei Servizi di salute mentale è possibile ottenere non solo un maggiore benessere per gli utenti, ma anche un guadagno per le casse dello Stato (minori assenze lavorative, maggiori entrate per l’erario, minori spese sanitarie e costi indiretti dei disturbi, etc.). È quindi nell’interesse generale accrescere l’offerta e l’accesso alle psicoterapie nei Servizi di salute mentale, e per questo sarebbe necessario investire assumendo psicoterapeuti (oggi presenti in numero estremamente limitato) e organizzare un’adeguata formazione in tecniche psicoterapeutiche a prova di efficacia. Oggi i pazienti che necessitano di un trattamento psicoterapeutico sono costretti a ricorrere al mercato privato, con una discriminazione di censo inaccettabile in tema di salute e irrispettosa del dettato costituzionale.
Anche se una rondine non fa primavera, ci sembra doveroso ricordare l’iniziativa bonus psicologo, avviata nel 2022 dal governo Draghi, che consente, per determinate fasce della popolazione, l’accesso a un numero, certo limitato, di sedute di psicoterapia. L’allarme che ha consentito questa apertura “politica” alla psicoterapia è stato il disagio psicologico post-pandemico. La strada è buona, ma gli investimenti ancora troppo pochi. La richiesta ha di molto superato l’offerta. Al momento, un tavolo di ricerca voluto dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (Cnop) sta studiando, sul piano clinico ed empirico, modi, tempi e risultati di questa formula. Nella speranza che da esperienza pilota possa trasformarsi in un servizio efficace, attento, garantito.
GRAN PARTE DEI MEDICI E AMMINISTRATORI DELLA SALUTE MENTALE IGNORANO ALTRI TRATTAMENTI SE NON IL FARMACOLOGICO