MICA PROVINCIALE QUEL BARZELLOTTI!
Autori italiani come Gioberti, Rosmini, Villari sono oggi usciti dagli orizzonti degli studiosi. Un’antologia di due americani ha il merito di riscattarli e rimetterli al centro dell’analisi
Èda salutare con interesse la traduzione del libro di Brian e Rebecca Copenhaver sulla filosofia italiana. In realtà era già uscito in lingua inglese nel 2012 con il titolo – che esprimeva una periodizzazione precisa – From Kant to Croce. Modern Philosophy in Italy 1800-1950, corredato da un’ampia appendice di testi di filosofi italiani tradotti (ovviamente assente in questa edizione). È interessante, anzitutto, perché contribuisce a smentire il vecchio mito sul carattere arretrato della filosofia italiana, che sarebbe chiusa in un insuperabile provincialismo. Vecchie storie, smentite grazie a una rinnovata fortuna degli studi sulla filosofia italiana anche delle ultime generazioni.
Da questo punto di vista, pesa sul libro il fatto che risalga ormai a più di dieci anni fa, proprio per la pubblicazione in questo periodo di nuovi materiali – specie carteggi – che hanno contribuito a mutare immagini antiquate della nostra tradizione filosofica, tante volte contrapposta – in nome del suo presunto provincialismo – ad altre tradizioni della filosofia europea. È interessante anche il titolo del libro – Filosofia in Italia, non filosofia italiana – con cui i due autori sembra prendano posizione, negandola, sulla questione della nazionalità della filosofia, facendo propria una tesi di Croce.
Brian e Rebecca Copenhaver non pensano che la filosofia italiana sia provinciale o poco significativa, e le dedicano un libro che, sia pur costruito con categorie e metodi di tipo anglosassone, ne riconosce l’importanza. Certo, uno dei due autori, Brian Copenhaver, è stato agevolato nel maturare questa posizione dalla conoscenza profonda che ha della filosofia italiana dell’Umanesimo e del Rinascimento, alla quale ha dedicato lavori importanti: penso alle sue ricerche su Giovanni Pico e anche alla sua attività di traduzione nell’ambito di una impresa fondamentale, I Tatti Renaissance Library, diretta da James Hankins, che con un’attività che ha del prodigioso sta mettendo a disposizione del pubblico americano – gli studiosi in primo luogo, ma anche lettori interessati a questi temi – le opere più importanti della nostra cultura umanistica e rinascimentale. Un lavoro al quale Brian Copenhaver ha dato un contributo fondamentale, sviluppando un punto di vista originale che gli ha consentito di guardare con occhi nuovi alla filosofia moderna italiana, stringendo passato e presente in un circolo ermeneutico virtuoso.
Il lavoro dei Copenhaver è però interessante da un altro punto di vista: è uno sguardo dall’esterno sulla nostra tradizione concentrandosi su autori – a esempio Barzellotti – che pur importanti nel loro tempo, sono oggi usciti, per molti aspetti, dagli orizzonti degli studiosi italiani della nostra tradizione filosofica. Ovviamente è una scelta voluta, esplicitamente dichiarata, in questo libro che intende riscattare autori come Mamiani, Gioberti, Rosmini, Spaventa, Galluppi, Villari, De Sanctis, Fiorentino, Florenzi Waddington, Labriola: autori, scrivono i Copenhaver, «pressoché invisibili per la storia della filosofia anglofona contemporanea». Gli unici ad essere conosciuti, tra i filosofi italiani contemporanei, sono Croce, forse Gentile, e Gramsci, che certamente è il più noto dei tre – occorre aggiungere – come dimostrano le traduzioni dei suoi scritti. Ma notevoli però – sia detto di passaggio, per delineare un quadro complessivo – sono anche le traduzioni delle opere di Croce nelle principali lingue europee: non andrebbe mai dimenticata, a questo proposito, la battuta di un grande studioso di Hegel, come Jean Hyppolite, il quale dichiarò che in Francia «fin quasi alla seconda guerra mondiale […] ci si iniziava allo Hegel proprio sulle pagine crociane».
Le parti più interessanti del libro sono infatti quelle dedicate a questi «invisibili» che vengono sottratti a un lungo e denso cono d’ombra per essere rimessi al centro dell’analisi.
La storia della filosofia italiana qui delineata fa perno, nella prima parte, su Galluppi («Esperienza e ideologia»), Rosmini («L’Idea Madre»), Gioberti («Primato»), Mamiani («Un metodo naturale»), Spaventa («Rivoluzioni e circolazioni»), Villari («Fatti e leggi»), De Sanctis («Reale e ideale»), Labriola («Materia e idea»), Barzellotti («Nessun movimento speculativo»)… Mentre, in quella che si può definire la seconda parte, si fa largo spazio ai filosofi noti, «visibili»: Croce, Gentile, Gramsci, finendo con una citazione di Bobbio, che, con la sua interpretazione della filosofia italiana, è un punto di riferimento importante di questo libro.
«Strana terra», dicono i Copenhaver nella parte finale del libro, questa filosofia italiana moderna, con «peculiari caratteristiche» che saltano agli occhi degli anglosassoni, sorprendendoli: «la spiritualità cattolica di cui è intrisa; l’esaltazione nazionalista che l’ha ispirata; lo storicismo che l’ha guidata; l’ampiezza culturale che l’ha arricchita; e l’isolamento politico che l’ha impastoiata».
Sono tutte definizioni che andrebbero discusse una per una anche per il loro sapore manualistico, ma sono gli stessi Copenhaver a rendersene conto invitando nelle righe finali a cogliere, oltre la corteccia, la sostanza con parole che merita citare: la cosa più importante, nei confronti di questa tradizione - scrivono - è riuscire a «vedere e onorare le sue conquiste filosofiche nei lavori degli straordinari pensatori descritti in questo libro, insieme a molti altri in un’epoca travagliata, che will not cease from mental fight».
Nel libro – va sottolineata – è chiara la consapevolezza dell’esistenza in Italia di una tradizione con le sue luci e le sue ombre, ed è esplicito il riferimento al tratto costitutivo di questa tradizione, cioè il rapporto tra filosofia e politica. È un giudizio esatto: quello che caratterizza la filosofia italiana lungo tutta la sua storia, distinguendola da altre tradizioni sia europee che non europee, è la vocazione civile; è una struttura di fondo della sua storia, dal periodo umanistico, che Brian Copenhaver conosce benissimo, fino al pensiero contemporaneo, ed è questo che spiega la particolare fortuna di Marx nel nostro paese.
Varrebbe la pena invece di discutere due altre tesi, intrecciate, del libro che la ricerca più recente ha messo in discussione, come risalta anche dalle due belle biografie di Croce pubblicate recentemente da D’Angelo e Cutinelli Rèndina: non è esistita una eterna egemonia di Croce nella cultura italiana; se c’è stata, è limitata a un periodo preciso, il primo decennio del Novecento. La presenza di Croce, in forme che volta per volta vanno indagate, va oltre la metà degli anni Cinquanta, finisce solo nel ’68, quando precipita in una crisi da cui si risolleverà solo con tempo e in forme nuove.
Ma queste osservazioni particolari non tolgono nulla all’importanza del lavoro dei Copenhaver e all’utilità di questa traduzione. Come diceva Federico Chabod, giudicare in sede storica vuol dire comparare: testi, autori, tradizioni. Ben venga dunque uno «sguardo dall’esterno».
Brian Copenhaver,
Rebecca Copenhaver
Filosofia in Italia (1800-1950). Uno sguardo dall’esterno Traduzione e saggio introduttivo di Sophia Catalano
Prefazione di Fabrizio Meroi
Le Lettere, pagg. 270, € 20