LA STELE DI KAMINIA PARLA DI NOI
Trovata a Lemno e scolpita nel VI secolo a.C., ha 33 parole scritte in greco ma in una lingua della famiglia dell’etrusco: fu portata da Etruschi migrati dall’Anatolia o arrivati dall’Italia?
Di fronte ai Dardanelli, cento chilometri dall’antica Troia, duecento dalla moderna Salonicco, oltre mille da Roma: l’isola di Lemno si estende nel Mar Egeo settentrionale e lungo i secoli numerosi naviganti hanno ormeggiato sulle sue coste. A un popolo dell’isola è appartenuta la stele di Kaminia, scolpita nel VI secolo a.C. come segnacolo di tomba, con il profilo di un armigero e 33 parole scritte in greco ma in una lingua che appartiene alla stessa famiglia dell’etrusco. L’iscrizione non è isolata: nel VII e VI secolo a.C. qualche decina di altre parole furono incise su ex voto per le divinità. Per Aristotele le scienze teoretiche studiano il necessario (come la matematica: 2 + 2 = 4) e le scienze pratiche il possibile e possibili sono le diverse le traduzioni dell’iscrizione finora proposte dagli esperti.
Gli italiani hanno frequentato Lemno per secoli. Dopo la Quarta Crociata bandita agli inizi del XIII, l’isola fu concessa ai Navigajoso, patrizi di Venezia, e dal 1355 al 1462, fu governata da una famiglia di Genova: i Gattilusi. Seicento anni fa Cristoforo Buondelmonti, un prete ed esploratore fiorentino, la descrisse e raffigurò nel Liber insularum Archipelagi (1420). La Scuola Archeologica Italiana di Atene arrivò a Lemno nel 1923. Era stata fondata nel 1909 e si caratterizzava per scavi diversi da quelli delle altre scuole straniere che si erano contese i centri classici più prestigiosi (come Olimpia, Delfi, Sparta e Atene). L’archeologia italiana si svolgeva oltre i confini della classicità, in siti preellenici, anellenici o postclassici e le ricerche a Lemno furono intraprese con l’idea di trovare gli Etruschi attestati dalla stele di Kaminia e per dimostrare la loro provenienza dall’Anatolia, come aveva affermato lo storico Erodoto nel V secolo a.C.
Ma chi era il popolo della stele? Socrate diceva: «Io posso parlare degli antichi per quel che ho sentito ma solo loro sanno la verità». Anche noi potremmo parlare di quel popolo per sentito dire. La loro voce non ci è arrivata e conosciamo quel che scrissero i Greci estranei all’isola (tutte le loro parole non riempiono mezza pagina). Non sappiamo neanche il nome con cui i Lemni chiamassero sé stessi. Omero nell’VIII secolo a.C. diceva che avevano una parlata selvatica ed erano Sinti, una tribù della Tracia. Ellanico, storico del V secolo a.C., li definiva con quel nome e anche per lui erano semibarbari. Poi ci sono i Minii e i Pelasgi, che appartengono più al mito che alla storia. I Minii, oriundi della Tessaglia, sarebbero stati cacciati dai Pelasgi, le popolazioni preelleniche della Grecia. E infine i Tirreni, nome che i Greci davano agli Etruschi. L’Inno a Dioniso, composto forse nel VII secolo a.C., narrava di pirati Tirreni nell’Egeo. Sono poi menzionati da Tucidide: «un gran numero abitava un tempo a Lemno». Lo storico Anticlide, negli anni di Alessandro Magno, sosteneva che alcuni autoctoni salparono dall’Egeo per l’Italia con Tirreno, capostipite dei Tirreni/ Etruschi. Infine Plutarco, nei primi secoli dell’Impero romano, scriveva di un fatto avvenuto «al tempo in cui i Tirreni abitavano l’isola di Lemno».
«Gli occhi sono testimoni più fedeli degli orecchi» (Eraclito): degli abitanti di Lemno non dobbiamo ascoltare solo le poche notizie, ma possiamo osservare con i nostri occhi le loro testimonianze, ritrovate nelle esplorazioni archeologiche. All’inizio erano cacciatori e raccoglitori, nell’XI millennio a.C. lasciarono scarti della lavorazione di strumenti in pietra. Nell’Età del Bronzo (3500-1350 a.C.) c’erano due centri principali inseriti in una rete di scambi con l’Oriente: Poliochni e Richà Nerà. Furono creati anche altri abitati come Koukonisi (2000-1250 a.C.) dove arrivavano ceramiche micenee, e la città chiamata Hephaistia dai Greci, con una lunga storia. Le più antiche tracce risalgono al XIV secolo a.C.; fu conquistata da Atene nel V secolo a.C. e dopo dai Macedoni; dal II secolo a.C. fece parte dell’impero di Roma e poi di quello bizantino; semiabbandonata nel VII secolo d.C. La stele proveniva forse proprio da Hephaistia, dove nel VII e VI secolo a.C. si costruivano nuovi edifici e si producevano vasi con caratteristiche decorazioni geometriche e anfore per l’esportazione del vino locale. Sono state scavate fortificazioni, cimiteri, case e sale per riunioni, e un tempio con gli ex voto offerti alla dea che i Greci chiamavano Lemno, come l’isola. Il paesaggio è cambiato da allora, nell’antichità c’erano querce, pini, pioppi, viti e olivi. Si mangiavano molluschi di ogni specie e ricci di mare e, ogni tanto pecore e capre, maiali e bovini (quasi mai pesci e volatili, forse qualche tartaruga).
Gli antichisti sono alle prese con una questione ancora irrisolta. Ci si chiede infatti se la stele sia espressione degli Etruschi migrati dall’Anatolia oppure se siano Etruschi arrivati dall’Italia, per fondare una colonia o una stazione di commercianti/pirati. Non è facile sapere cosa sia successo. Il popolo della stele non si distingue da altri abitanti per cultura materiale e figurativa, tecnologie, riti religiosi e funerari, modi di vivere. Non tutti i popoli antichi che trasmigravano nel Mediterraneo - conquistatori, coloni, commercianti, mercenari, migranti ambientali - lasciarono segni delle loro origini e tradizioni: i Greci, classe dirigente nel Fayyum ellenistico (III-I secolo a.C.), si distinguono dagli indigeni egiziani per l’uso della loro lingua nelle scritture pubbliche e private; così gli orientali nelle province romane dell’Africa (I-III secolo d.C.) si possono identificare solo dai loro epitaffi in greco o in ebraico; i Vandali, che si trasferirono nel V secolo d.C. dalla Germania nel Nord Africa, si mimetizzarono in tutto e per tutto con la popolazione che trovarono. Nel caso in cui i Tirreni di Lemno fossero venuti dall’Etruria, non mantennero contatti con la madrepatria a giudicare dall’assenza di oggetti fabbricati in Italia. Per l’ipotesi della migrazione dall’Anatolia siamo all’oscuro sul luogo di origine. Per come stanno le cose è meglio per ora seguire Pirrone, il filosofo che tra IV e III secolo a.C. sosteneva che non si può affermare una verità senza dubbi.
IL MANUFATTO, SEGNACOLO DI TOMBA, CON IL PROFILO DI UN ARMIGERO, RACCONTA UN POPOLO DI CUI SAPPIAMO ANCORA POCO
Direttore della Scuola Archeologica di Atene