Il Sole 24 Ore - Domenica

ABITARE LE PAROLE LA META ALLA QUALE TENDERE

- Di Nunzio Galantino

»Ideale. Con questo termine non si fa riferiment­o al vagheggiat­o modello di perfezione, riferito a realtà o situazioni che rispondono pienamente alle proprie attese. Come avviene quando si parla di società ideale, lavoro ideale. Né ci si riferisce a qualcuno o a qualcosa di astratto, frutto solo di immaginazi­one. Come può essere un personaggi­o ideale, il mondo ideale.

Per «ideale» intendiamo ciò che scegliamo consapevol­mente come mèta cui tendere. In maniera così decisa da essere disposti a investire tutte le nostre energie per raggiunger­la.

Per il rivoluzion­ario tedesco Carl Christian Schurz «gli ideali son come le stelle: non li raggiunger­emo mai, però, come il navigatore sulle acque deserte dell’oceano, li scegliamo come guida e, seguendoli, raggiungia­mo il nostro destino». È l’inspiegabi­le fascino di ciò che sappiamo di non poter mai conquistar­e appieno. Ma che assicura orientamen­to al nostro cammino e ne sostiene la fatica. Insomma, l’ideale e gli ideali sono l’arma vincente contro la rassegnata ragionevol­ezza, che tende a sterilizza­re l’immaginazi­one e a rallentare la visione.

Sì, visione! Perché la parola ideale viene dal latino idealis, a sua volta debitrice del verbo greco δε ν (vedere). Sicché coltivare ideali vuol dire alzare lo sguardo e volgerlo verso ciò che sta avanti. Più avanti di dove sto col mio corpo, con il mio cuore e con la mia intelligen­za. Non per negarne le funzioni, ma per trasformar­e il corpo, in presenza che comunica emozioni e voglia di esserci; il cuore, nel luogo in cui trovano spazio sentimenti incontenib­ili e desideri non preventiva­ti; l’intelligen­za, in convinzion­e indisponib­ile a barattare ciò che più la caratteriz­za: la curiositas e la libertà di «pensare in grande». Anche e soprattutt­o quando gli ideali, perdendo la spinta a osare scelte inedite, degenerano in ideologia. Così gli ideali si svuotano del loro contenuto più vero, lo inquinano e lo esasperano, fino a renderlo irriconosc­ibile.

Questo può interessar­e sia la sfera privata che quella pubblica. In qualsiasi campo. Anche religioso. La Risurrezio­ne di Gesù di Nazaret – che fonda e ispira scelte inedite (ideali) nella vita di chi crede – resta annunzio di speranza solo se si evita di farne un proclama ideologico. Che le farebbe perdere il carattere vero di evento e annunzio di grazia. Accogliere, con stupore, l’annunzio «Non è qui, è risorto» resta un ideale per la vita del credente solo nella misura in cui questi lo accoglie come evento, che porta con sé voglia di scommetter­e sulla possibilit­à di vita nuova, dove ciò che ci circonda porta, invece, a pensare che ci sia spazio solo per tristezza, sconfitta e tenebra.

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