Il Sole 24 Ore - Domenica

I FIDANZATI DEL 700 NELLA BARCA DI OGGI

- Di Carla Moreni

Un chiasso perfettame­nte organizzat­o ritma da inizio a fine Li zite ingalera, commedeja ppe museca di Leonardo Vinci, scandita sui tempi lievi della commedia di parola, in una narrazione intelligen­te, screziata di dettagli, giocata su arguti rimandi. Così imposta il suo spettacolo Leo Muscato, nella prima esecuzione assoluta alla Scala di un’opera datata 1722, ai tempi molto famosa e ovviamente in napoletano. Da lì parte il regista, cancelland­o il banale “napoletane­se” di schermi e tv, e invece trasforman­do la storica lingua locale nel motore di un infinito conversare, incontro astratto di un profluvio di termini incrociati, croccanti, elettrici, allusivi, pieni di vita. I colti parigini illuminist­i ne uscirono allora cotti e innamorati. Non scontato il successo oggi. Invece: sala piena, pubblico misto, giovani, silenzio per la prima mezz’ora, poi rotto il ghiaccio applausi nei punti giusti, risate, trionfo finale.

Negli Zite bisogna entrare: lo chiede il sipario, un’enorme “gouache” a tutta scena, con una marina intenziona­lmente in bianco e nero perché il colore lo daranno i personaggi, negli abiti freschi di Silvia Aymonino, mentre sbucano da una porticina sulla cornice e dallo sfondo ben illuminato in controluce da Alessandro Verazzi. Scorre a porzioni una casa-albergo, con tanto di numeri sulle porte, ricostruit­a con amabile eleganza nelle scene di Federica Parolini, dove il nastro mobile la scompone e riassembla. Raffinati spiccano i momenti di teatro nel teatro nelle azioni sul tavolo. Una sorpresa la scatenata tarantella a campo aperto, dove tutti i cantanti suonano e danzano, a tempo. Ma la novità, l’invenzione moderna sono le sporcature: già nella Sinfonia il centro cantabile ha di sfondo un parlottio nervoso, dal palcosceni­co, da azione in corso; altro parlato verrà aggiunto nelle Arie più malandrine e a doppi sensi (non nelle più toccanti, in proscenio e a sipario calato) infilato con pennellate estemporan­ee tra i ritornelli obbligati o prima dei “da capo”. Ed è questa una filologia nuova, non ingessata e molto teatrale, condivisa dal direttore rigorosame­nte anticato Andrea Marcon e che carica di delirio affabulato­rio un eloquio che rompe le forme chiuse del barocco. Sta qui la chiave dell’interesse e del successo de Li zite ngalera (I fidanzati nella barca, ma l’originale dice di più) costruiti su una compagnia in squadra affiatata, con Francesca Aspromonte, Chiara Amarù, Francesca Pia Vitale, belle e brave, un po’ simili nel timbro, con la vecchia irresistib­ile di Alberto Allegrezza, i controteno­ri Raffaele Pe e Filippo Mineccia, Antonino Siragusa, Marco Filippo Romano, Filippo Morace e persino i due dell’Accademia, Matías Moncada e Fan Zhou.

Li zite ngalera

Leonardo Vinci

Direttore Andrea Marcon Regia di Leo Muscato Teatro alla Scala,

Fino al 21 aprile

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