QUEI FALSI MITI SULLA CREATIVITà
Nell’abbondanza di contenuti e dati culturali, è possibile individuare attraverso il metodo analitico le correlazioni più rilevanti e significative scoprendo regolarità e orientamenti
Per chi ha visto il film Baci rubati (1968) di François Truffaut credo sia indimenticabile la scena in cui la Signora Fabienne Tabard si presenta nella mansarda di Antoine Doinel, il giovane protagonista. La Signora Tabard, di cui Antoine è infatuato, gli spiega che lei è tutto il contrario di una apparizione celestiale. Si è svegliata, vestita, truccata il viso, incipriata il naso, decorati gli occhi. Attraversando Parigi per stare una volta con lui, e poi mai più, ha incontrato donne che, tutte, hanno fatto lo stesso. Certo, Antoine crede che lei sia eccezionale. Ma tutte le donne, a modo loro, sono eccezionali.
A Parigi, dove è stato girato Baci rubati, c’è la sede della più grande multinazionale del mondo dedicata alla bellezza delle donne, e non solo. Lì ho assistito al paradosso tale per cui l’unicità di ogni donna non impedisce di farla temporaneamente confluire in un insieme dove l’infinita varietà di modi di valorizzare il viso e il corpo viene ridotta a poche medie e correlazioni. Il paradosso consiste nel fatto che questo processo di riduzione in poche categorie e profili statistici, inesistenti nel mondo, restituisce in seguito a ogni donna gli strumenti per reinventarsi in forme e apparenze originali e cangianti. Qualcosa di analogo è stato fatto ora nel campo della cultura.
Lev Manovich, nato in Russia, da adolescente è migrato come tanti suoi connazionali negli USA dove è diventato professore a City University of New York (CUNY) e direttore del Cultural Analysis Lab.
In questo libro, che è insieme un manuale e un saggio originale e innovativo, Manovich racconta ricerca, professione, insegnamenti. Il suo metodo permette l’analisi di tutti i dati generati da qualsiasi processo culturale presente o passato. Consideriamo per esempio l’artista Vincent van Gogh: gli studenti di Manovich hanno pescato in rete e raggruppato le immagini dei dipinti tra il 1881 e il 1890. Hanno poi aggiunto a ogni opera originale (ed eccezionale: come insegna Truffaut), le informazioni su tempi, modi della creazione e caratteristiche visive: luminosità, saturazione, tonalità e dimensioni delle forme.
A partire da questo insieme di dati è iniziato il processo di riduzione che ha riordinato il tutto in base a pochi criteri, percettivi e non. Le elaborazioni statistiche, dette “analytics”, sono create da software che individuano le correlazioni più rilevanti e significative. Possiamo così scoprire regolarità che sarebbero rimaste del tutto nascoste alle visioni e alle menti limitate degli umani, anche se grandi esperti di van Gogh.
Analogo metodo è applicabile alla letteratura: Franco Moretti ha calcolato i modelli di ascesa e declino di quarantaquattro generi di romanzi britannici dal 1740 al 1990. L’operazione di riduzione si può anche condurre a un meta livello, classificando tutte le etichette usate per i corsi di insegnamento dalla New School di New York. Si scopre così, tra l’altro, l’evoluzione delle materie e la progressiva affermazione degli strumenti digitali nell’arte.
Manovich, riprendendo tecniche statistiche e computazionali in parte già note, ha coniato un nome per questa nuova tradizione di studi applicabile, con risultati spesso sorprendenti, a ogni banca dati culturale. Analogamente può venir gettata nuova luce sui processi che hanno condotto alla creazione di una singola opera o evento.
Proprio nell’ultimo libro scritto con Emanuele Arielli dello IUAV di Venezia, Artificial Aesthetics, Lev Manovich mostra come i software possano attingere dalla rete andando a generare opere nuove ma create grazie a quanto è presente in rete. Gli analytics non fanno altro che ricombinare in modi originali testi e opere visive del passato proprio come fa ora un erede di questa tradizione: il software ChatGPT, il chiacchierato e controverso generatore di testi e disegni.
Tutto ciò alimenta un clima di rottura rispetto a ogni tradizione precedente. Si spiega così come mai i giovani artisti nelle accademie si trovino, più che in passato, di fronte alla sfida consistente nell’affermare un proprio stile personale che renderà “eccezionali” le loro opere. Si tratta di tentativi volti a sconfiggere il «principio del mondo stabile» che è il pilastro su cui si basa l’artificiale, come ha mostrato molto bene Gerd Gigerenzer (si veda la recensione al libro pubblicata sulla «Domenica» del 12 marzo).
Non è facile inventare e fare accettare il «nuovo». La difficoltà è raccontata nel film Opera senza autore (2018) diretto da Florian Henckel von Donnersmarck. Ci si ispira alla vita di Gerhard Richter, l’artista tedesco che ha appena donato cento opere alla Nationalgalerie di Berlino. Dall’aprile di quest’anno sono visibili le magnifiche creazioni della serie Birkenau (2014), costruite a partire dall’elaborazione di quattro foto prese nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Il film di Henckel von Donnersmarck mostra in dettaglio come la tecnica di Richter parta da una fotografia e la modifichi progressivamente finendo per rendere quasi invisibile il punto di partenza.
Più in generale, questo libro di Manovich smonta alcuni falsi miti sulla creatività. Nel contempo pone gli aspiranti artisti di fronte alla ricerca, terribile e magnifica insieme, di quell’eccezionalità che caratterizza l’irripetibile dono della Signora Fabienne Tabard ad Antoine Doinel.
Lev Manovich
Cultural Analytics. L’analisi computazionale della cultura Raffaello Cortina, pagg. 402, € 29