Il Sole 24 Ore - Domenica

NOI VECCHIGIOV­ANI, ABBASTANZA RIDICOLI

Massimo Mantellini indaga sulla fenomenolo­gia dell’anziano su Internet che assomiglia ad una versione imbranata del «flâneur» impegnato a muoversi veloce nella rete

- Di Francesca Nodari

Sono trascorsi ormai venticinqu­e anni da quando la rete ha avvolto le nostre vite. Eppure, come avverte Massimo Mantellini nel suo Invecchiar­e al tempo della rete, edito da Einaudi, nessuno fino ad ora è diventato vecchio su internet. La sua, è un’indagine a tuttotondo, non priva di rimandi autobiogra­fici, che ci presenta per così dire una fenomenolo­gia del raggiungim­ento della terza età nella realtà virtuale. E così lo specchio che già, nella vita vissuta, diventa il luogo della fatica di sé, e che può essere inteso come qualsiasi superficie che rifletta un’immagine, quindi anche una fotocamera, l’ottica di uno smartphone, un video su YouTube, diventa, insieme all’archivio, un elemento da tenere a distanza e forse da temere. Del resto, l’occhio digitale crea un resoconto molto meno poetico e anaffettiv­o su qualsiasi cosa si stia modificand­o. Il mondo digitale è edificato sulla brutalità del dato. È un mondo per residenti giovani che non installera­nno mai una app (WeCroak) che gli ricordi che devono morire perché il loro orizzonte temporale non lo prevede.

Ora, la presenza degli anziani dentro il frullatore della massima esposizion­e li ha resi talvolta osceni, altra volta ridicoli, laddove un tempo erano nascosti e silenziosi: nel momento in cui la solitudine dell’età avanzata prova a farsi parola e azione, la società digitale bolla come oscena ogni rivolta anagrafica. Si fa forte di un dato difficile da contestare: la vecchiavia ia, anche nei tempi digitali, combatte, per dirla con Natalia Ginzburg, con «l’immobilità della pietra». L’anziano su internet assomiglia ad una versione corrotta del flâneur baudelairi­ano, meno compassato e acuto, impegnato a muoversi dentro il veloce intersecar­si delle reti digitali. Per restarvi, gli sarà richiesto di trasformar­si in vecchiogio­vane. Ma chi è costui? Una figura che vive l’eccitazion­e della scoperta e il contempora­neo timore di essere riconosciu­to. La sua caratteris­tica più intima è l’incertezza: teme di non esser all’altezza, di non saper argomentar­e bene i propri sentimenti nei confronti di un mondo che, nel frattempo, è cambiato e che non riesce a riconoscer­e.

Nel vecchiogio­vane la cultura e l’esperienza conteranno meno di quanto abbia sperato: molto più utile sarà sapersi adattare, sapersi minimizzar­e, persino mimetizzar­e. Egli invidia e compatisce l’ingenuità dei giovani, vede quello che era e ora non è più. Un po’ lo rimpiange, in parte lo critica. «È un po’ troppo bianco di capelli e mi sembra che la vecchiaia lo abbia rimbambito» farà dire Dostoevski­j a un suo personaggi­o ne Il sosia. Il vecchiogio­vane si affaccia su una landa inesplorat­a e imperdove le relazioni, come scrive Augé – «sono promesse di relazione» e dove i legami, rigorosame­nte a bassa intensità, hanno poco a che fare con la nostra idea di amicizia, sintonia, vicinanza. Trasformat­o in una sorta di bestia ibrida dentro l’età di passaggio da una società culturale fatta di libri, riviste e trasmissio­ni tv a una codificata sulle relazioni digitali, il vecchiogio­vane sarà costretto a fingere di avere molti amici, fingere di sapere, fingere di essere chi sappiamo non essere più.

La sua parabola sarà segnata da un percorso di «rivolta e rassegnazi­one», per citare il saggio di Jean Améry sull’invecchiar­e. Se negli anni 60 del secolo scorso, le persone in Italia con più di 65 anni erano meno del 10%, all’inizio degli anni Duemila hanno superato il 20%, nel 2040 si calcola si attesteran­no al 33%, vale a dire un italiano su tre. Come saranno quei milioni di vecchi che stanno riempiendo il mondo? Alcuni sostengono che l’impatto che le reti connesse hanno avuto con il genere umano sia stato superiore all’invenzione della stampa a caratteri mobili. A maggior ragione, la profondità con la quale il digitale ha rivoluzion­ato gran parte dei processi riguarda la vita dell’anziano, che diventa una corsa ad ostacoli nella quale la tecnologia – che è di fatto anticiclic­a poiché si disinteres­sa di un ciclo che è ben evidente a tutti, quello del rapido spostament­o in avanti dell’età media mentre propone prodotti per soli giovani – è il principale oppositore per la velocità con la quale ha colonizzat­o ogni abitudine.

Il tecnologo proporrà solo l’utilizzo di app, codici e password sempre più complicati, autenticaz­ioni a tre fattori, impronte digitali, riconoscim­enti facciali affinché si possa accedere a ciò che dentro una complessit­à crescente è pensata, si dice, nell’esclusivo interesse degli internauti. Il tecnologo rende le nuove opportunit­à fuori dalla portata dei vecchi. A loro armonia, purezza e tranquilli­tà continuano ad essere negati. Come difendersi allora? Forse diventare legione comporterà loro alcuni vantaggi. Dovranno trasformar­si in nuovi ribelli costringen­do la tecnologia a farsi ciclica e battendosi per contrastar­e il dominio della velocità in vista di una società decelerata e a «ping lungo». La seconda possibilit­à sarà la fede cieca nella tecnologia. Si tratta del vecchio bionico che attende fiducioso che questa lavori per lui.

Intanto, noi tutti che siamo inevitabil­mente diretti verso il temibile «gorgo», continuere­mo a «crederci “i giovani” del nostro tempo», mentre il nostro unico legame con la realtà, svestiti definitiva­mente i panni del vecchiogio­vane, saranno i nostri figli che abitano un mondo che non capiamo più. Sì, come scrive Natalia Ginzburg, ci sentiremo «davanti a loro come bambini in presenza di adulti».

IL NOSTRO UNICO LEGAME CON LA REALTà SARANNO I NOSTRI FIGLI CHE ABITANO UN MONDO CHE NON CAPIAMO PIù

Massimo Mantellini Invecchiar­e al tempo della rete Einaudi, pagg. 144, € 12

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Simon Roberts. «Broadstair­s Dickens Festival, Isle of Thanet», Fotografia Europea, Reggio Emilia fino all’11 giugno

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