LA FONDAZIONE SANDRETTO CELEBRA TRENT’ANNI DI CULTURA
Trent’anni di collezionismo; una Fondazione che porta il suo nome; quattro sedi che, al palazzo settecentesco della famiglia del marito, a Guarene (Cuneo), hanno visto aggiungersi nel 2002 l’edificio di Torino, poi, nel 2017, una nuova Fondazione (nomade per ora) a Madrid e, dal 2022, l’isola di San Giacomo, nella laguna di Venezia («C’erano solo rovi, rovine e gabbiani, ma nel 1975 Jerzy Grotowski aveva messo in scena qui, per la Biennale Teatro, Apocalypsis cum figuris e la sua energia, quando la vedemmo, era ancora percepibile», confida la protagonista a Hans Ulrich Obrist nell’intervista in catalogo). Senza contare i progetti in corso, perché «la progettualità è sempre una semina». Non si può davvero dire che Reaching for the Stars (puntare alle stelle, e quindi, nel traslato, puntare sempre più in alto), il titolo della mostra che festeggia il trentennale della collezione di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, curata per Palazzo Strozzi dal direttore Arturo Galansino, non sia più che pertinente.
Intanto, le stelle sono quelle cui mira il gigantesco «razzo» di Goshka Macuga che, prodotto dalla collezionista, occupa il cortile quattrocentesco del palazzo di Firenze, poi una stella è il logo della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e, non ultimo, una stella blu è nello stemma araldico del marito, Agostino Re Rebaudengo, con cui Patrizia Sandretto ha istituito nel 1995 la Fondazione, presto diventata il suo «lavoro a tempo pieno». E poi, ovviamente, sono stelle del firmamento dell’arte contemporanea internazionale i protagonisti della mostra, che esibisce solo una minima parte della raccolta (duemila pezzi; fra le più importanti e influenti d’Europa), capace però di riassumere le linee di ricerca cui la collezionista si è attenuta nel tempo. «La mia – spiega – è una collezione generazionale: avevo trent’anni quando iniziai, e subito puntai su artisti miei coetanei poi, man mano, sui successivi. Ora è mio figlio Eugenio ad affiancarmi». Prima tappa, nel 1992, Londra, Lisson Gallery; prima visita in studio, il loft di Anish Kapoor, di cui acquistò due operedipigmentopuro(una,delciclo 1000 Names, 1983, è in mostra). All’esordio guarda dunque agli artisti londinesi degli anni 80 e presto, mentre Londra s’impone sulla scena internazionale del contemporaneo, agli Young British Artists. In mostra ci sono Damien Hirst, con i suoi Memento mori di leggiadre farfalle e un’installazione desolata; Glenn Brown, con un malinconico ritratto capovolto di bambino, e Sarah Lucas, conduebrutalilavorichedenunciano gli stereotipi sul corpo femminile. Ma se il Regno Unito (cui presto, con Francesco Bonami, sarebbe seguita l’esplorazione della scena artistica di Los Angeles, allora poco battuta) è oggetto della prima sala, in quelle successive, aperte a un orizzonte più vasto, il percorso si fa tematico: dapprima gli Art Matters (qui, tra gli altri, l’impressionanteViralResearch, 1986, di Charles Ray, che alludeva all’Aids ma che è oggi non meno attuale, e la scultura autogenerante di schiuma di David Medalla), poi il Made in Italy, con più opere del prediletto Maurizio Cattelan e lavori di Vanessa Beecroft, Roberto Cuoghi, Lara Favaretto, Paola Pivi (il famoso orso, 2008, il cui pelo è sostituito da spiazzanti piume di pulcino). Non poteva mancare il tema ineludibile delle Identities, con gli sguardi al femminile (sono tante, da subito, le artiste in collezione) di Cindy Sherman, Shirin Neshat, Barbara Kruger, Sherrie Levine, ma anche di Pawel Althamer (un impietoso autoritratto nudo del 1993) e l’agghiacciante Thank you for your years of services, 2016, di Josh Kline: le figure iperrealiste di una donna e un uomo, licenziati dal lavoro e chiusi in sacchi della spazzatura. E poi, dopo Places (Struth, Gursky e Ruff) e Bodies, con lo sconvolgente corpo mutilato di Berlinde de Bruyckere, i ritratti d’immaginarie persone di colore di Lynette Yiadom-Boakye e quelli sul turismo sessuale di Michael Armitage, ecco le Mythologies del contemporaneo (Villar Rojas, Schütte, la giovanissima Giulia Cenci...). Chiudono il piano nobile le Abstractions (Auerbach, Guyton, Oehlen, Tillmans, Cecily Brown,AverySinger...)mailpercorso si conclude giù nella Strozzina, dove c’è l’imperdibile sezione dei video, con autori non meno fondanti.
Un percorso limpido, quello della mostra, guidato dai principi della condivisione e della corretta comunicazione che (insieme alla committenza e alla promozione dell’arte pubblica) informano da sempre anche le attività della Fondazione. Perché, spiega Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, bisogna saper «lavorare senza porte», per combattere ogni forma di discriminazione. Anche nell’accesso all’arte.
Reaching for the Stars. Da Maurizio Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye Firenze, Palazzo Strozzi Fino al 18 giugno
Catalogo Marsilio Arte, pagg. 224, € 40