MILANO, CITTÀ ETERNA (E ANCHE VITRUVIANA)
In «Milano per filo e per segno» Paolo Ventura espone lavori che ritraggono silenti edifici spogliati dal quotidiano (ma con macchie di colore) per ridare memoria, identità, ascolto
Prima o poi con la città dove siamo nati, cresciuti e siamo diventati adulti, soprattutto se adulti artisti, dobbiamo fare i conti. L’abbiamo guardata a lungo, e lei, perché di persona femminile si tratta, ci ha visto guardare e creare il nostro sguardo anche sulle sue forme, e a un certo punto, non a caso nella prima vera maturità, passata la soglia dei cinquant’anni, a questo sistema di parallelepipedi in prospettiva, di fughe e tagli stradali, di piani bituminosi e ascese celesti verso un’aria spesso irrespirabile abbiamo deciso di dedicare una parte importante di noi. Perché la città, siamo noi. All’urgenza di guardare fuori per guardarsi dentro, Paolo Ventura, uomo metropolitano per eccellenza, ha dedicato un nuovo capitolo della sua lunga ricerca, che da sempre unisce fotografia e pittura, come racconta una mostra vicina e lontana al tempo stesso, Milano per filo e per segno, questo il suo bel titolo, e lo racconta a Minneapolis, cuore del Midwest americano, nella splendida Weinstein Hammons Gallery, con un prezioso catalogo-portfolio edito da Danilo Montanari, fino al 10 giugno.
Ci si potrebbe chiedere perché un’autentica metropoli come Minneapolis, la sedicesima più popolosa d’America, dove a formare il suo nome oltre l’ovvio greco è il suffisso mni che, in lingua dakota, significa acqua, debba guardare con interesse questa Milano, questa città con edifici ancora di mattoni e di marmo, con ricordi classici e rivisitazioni neoclassiche, con archi che celebrano la pace e inaugurano nuove guerre, con quartieri povecentesco polari affacciati sul modesto corso dei Navigli e pareti contemporanee di vetro e foreste verticali. E la risposta ci sembra possa essere questa, un’ipotesi certamente, e cioè che la «città venturiana» sia, quasi nel suo equivalente vitruviano, non solo un’opera in sé ma un metodo per affrontare, ripetiamo nella pienezza esistenziale di chi è nato nel 1968, il caos delle stratificazioni urbane e personali, che su quella stessa scena hanno avuto luogo.
Per filo e per segno, con ago da rammendo domestico e squadra d’architetto rinascimentale, Paolo Ventura ha iniziato a esplorare in un altro modo la sua città, la Milano dove è nato, dove ha frequentato le scuole, dall’asilo a vaghe presenze a Brera, dove ha litigato in famiglia, in fondo come tutti, dove ha cercato solidarietà e distanza nel suo doppio gemello, altro artista straordinario, Andrea Ventura, e poi dove ha visto crescere la violenza del terrorismo e nello stesso tempo dove ha cercato tracce di altri conflitti nei mercatini dell’usato, cosa che fa anche adesso con occhio periscopico, e ancora dove ha iniziato a essere fotografo, di moda, e infine, ma è l’inizio di tutte queste storie, dove vive oggi, dopo una lunga permanenza a New York e tra le parentesi rigeneranti di una casa nei boschi vicino ad Anghiari. Noe contemporaneo, dagli anni 30 al primo Dopoguerra, Paolo Ventura ha girato la sua polis in bicicletta, l’ha ritratta con il cellulare e una volta tornato in studio, un vecchio magazzino nel cuore del centro storico dove il soffitto è all’altezza del marciapiede, ha iniziato a isolarne alcuni elementi e ha lasciato che il “resto”, connessioni e vicinanze architettoniche, traffico di macchine, passanti, messaggi pubblicitari, persino gli eccessi di luce solare e relative ombre, scomparisse sotto velature di colori acrilici e biacca. Qualche macchia, gialla, blu, rossa, come una fuga emotiva, un sussulto, un ricordo, punteggia un’intelaiatura di fili e cavi, veri perché di tram e di elettricità o di pura immaginazione, che si uniscono a una raggiera di fughe prospettiche, come se nel terzo millennio contemplassimo ancora la città ideale dipinta da un artista ignoto, tante sono le sue attribuzioni, Piero della Francesca, Luciano Laurana, Leon Battisti Alberti, Melozzo da Forlì.
In questa città che era, è e in parte non è più Milano, gli edifici, e tra questi Palazzo Mezzanotte, Torre Rasini, Palazzo Scoccimarro, Palazzo Mangiarotti e Morassutti, sono diventati multipli dello stesso autore, che per la prima volta trasforma il paesaggio urbano, quinta scenografica di molti suoi lavori, da War Souvenir a Winter Stories, nel protagonista assoluto. Le figurine che un tempo rappresentavano l’artista, anarchico, soldato, reduce della Prima guerra mondiale, gappista, prestigiatore, clown, non ci sono più e al loro posto si erge una collezione di solidi, silenziosi e isolati salvo pochi brani a più voci, quasi una rilettura delle nature morte di Giorgio Morandi. A questa città, spogliata della sua energia quotidiana e sopravvissuta alla sua follia, Paolo Ventura chiede e offre un dialogo diverso, in prima persona, per ricreareunarelazioneallaparitral’uomo e il suo spazio. La complessità esiste, ci avvolge, ci arricchisce e a volte ci sfianca, ma il cielo di gesso bianco, con quei rilievi tridimensionali come fosse un’altra facciata, per pochi minuti impone la calma, l’introspezione, l’ascolto. Sembrerebbe quasi che insieme alla confusione Milano abbia perso la sua memoria,eVenturainquestohacercato di aiutarla ripercorrendo non solo le sue cerchie – ha compiuto, per ora, quella dei Bastioni – e valorizzando le sue presenze architettoniche celebri e anonime, ma anche presentandola come nuova città ideale perché destinata a costruirsi, distruggersi, tracce del passato comprese, e ricostruirsi in eterno. Un esperimento diverso da ogni altro, ma emblematico del nostro vivere,edègiustocheilviaggiodiPaolo inizi nel suo orizzonte autobiografico perpoiestendersiadaltricentriitaliani, materia di un futuro e importante progetto editoriale, e con assoluta naturalezza,semplicitàedefficacia,dimetodo appunto, raggiunga capitali europee e oltre. A Minneapolis, guardando queste splendide immagini al di là dell’oceano, devono essersi sentiti a casa.
VALORIZZANDO LE PRESENZE ARCHITETTONICHE CELEBRI E ANONIME, LA CITTà RIESCE A RICOSTRUIRSI
Paolo Ventura.
Milano per filo e per segno Minneapolis, Weinstein Hammons Gallery
Fino al 10 giugno
Catalogo Danilo Montanari, pagg. 32, € 35