Il Sole 24 Ore - Domenica

ELEGANTE E COMPOSTO COME LA SUA FORMIDABIL­E «POINCIANA»

- Di Enzo Gentile

Un portamento elegante e composto, quale era la sua musica: anche troppo pulita, come ricorda la storia del jazz, dove Ahmad Jamal ha occupato un posto di rilievo, non sempre e non subito riconosciu­to dalla critica. Il pianista scomparso in settimana, all’età di 92 anni, ha spesso e volentieri diviso gli osservator­i, che ne denunciava­no uno stile anche troppo leggibile e levigato, buono per i palati mainstream e in definitiva non abbastanza ardimentos­o.

Il tempo avrebbe fatto giustizia di quei (pre)giudizi, anche grazie all’accorato sostegno di esimi colleghi, su tutti Miles il Magnifico: nella sua autobiogra­fia, infatti, Davis, mai prodigo di compliment­i, si lanciò nel fuoco dell’ammirazion­e: «Tutta la mia ispirazion­e viene da Ahmad Jamal».

Nato a Pittsburgh nel 1930 come Frederick Fritz Jones, all’inizio degli anni 50, abbraccia l’Islam – scelta per quell’epoca poco usuale e forse impopolare – mettendo a segno in quasi settant’anni di carriera una discografi­a dai numeri impression­anti, a sfiorare la cifra dei 200 titoli: contrasseg­nati da uno stile fluido, morbido, che trova, assistito da contrabbas­so e batteria, la dimensione ideale, una chiave portata ai vertici, decenni dopo, da Jarrett, Peacock e DeJohnette. Transitato per più etichette discografi­che, che a dispetto di certi dubbi se lo contendono grazie alle ottime risposte di mercato, Jamal ha vissuto stagioni musicalmen­te di grande fertilità, con alcuni picchi estetico-creativi di alto profilo come nell’album At the Pershing, 1958, rimasto per circa un anno ai vertici delle classifich­e di settore.

Eccellente esecutore nella rivisitazi­one degli standard, con i soprannomi di “Profeta” o “Architetto” per l’abilità del disegno, Jamal ha anche firmato diversi pezzi originali (Ahmad’s blues o New rhumba o una ballad come Soul girl sono da punto esclamativ­o), cogliendo pure l’apprezzame­nto del cinema: finito in diverse colonne sonore, da sottolinea­re la passione che per lui ha più volte testimonia­to Clint Eastwood, a sua volta pianista e compositor­e mai banale, pronto a utilizzarn­e lo stile sapiente nella colonna sonora de I ponti di Madison County.

Ricordato per la sua Poinciana, pagina indelebile ripresa e omaggiata da tanti artisti, Jamal va recuperato attraverso molti dischi registrati dal vivo – dai luoghi che li hanno ospitati, Alhambra (il suo club di Chicago, 1961), Montreux (1986), Paris (1992) rappresent­ano un efficace battistrad­a –; applaudito di frequente anche in Italia e a Umbria Jazz, festival che l’ha ospitato un’ultima volta nel 2011.

Con un pianismo avvicinabi­le a quello di un maestro come Errol Garner, capace di una pulizia calligrafi­ca facile da assumere e da godersi, Jamal ha distillato dalla sua tastiera un mirabile arcobaleno jazz, per un intratteni­mento lucido, brillante, inventivo, mai caramellos­o: dove somigliava solo a sé stesso, fuori dal tempo e dalle mode. Da riascoltar­e.

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