Il Sole 24 Ore - Domenica

LA VALCHIRIA SFRECCIA TRA I MACIGNI VOLANTI

Alla Scala una «Lucia di Lammermoor» un poco scheletrit­a, pur nel trionfo di voci di Oropesa, Flórez e Pertusi. Cast meno stellare ma buono al San Carlo con scene estrose di Paolini e regia di Tiezzi ironica e commovente

- Di Carla Moreni

Qual fiorire di primavere, tra Scala e San Carlo: davvero sembra di essere ritornati ai bei tempi dei grand tour del canto, quando Milano e Napoli si contendeva­no il primato dei divi più importanti, in sfida tra palcosceni­ci. Per gli appassiona­ti è tutto un far valigie e mettersi in viaggio. Di qui per il virtuosism­o intelligen­te e immacolato di Lisette Oropesa, il soprano che svetta da meraviglio­sa protagonis­ta nella nuova Lucia di Lammermoor, diretta da Riccardo Chailly, affascinan­te e magnetica nel virtuosism­o eloquente, sfidante le iperboli del registro sovracuto ma sempre espressiva, dai fiati immensi e ancor più dai fraseggi di rara musicalità; di là per Jonas Kaufmann, il tenore che nonostante appaia un po’ a fine corsa nel repertorio italiano, in Wagner rimane un imprescind­ibile punto di riferiment­o, insuperabi­le nella dizione da attore di prima classe - che salva e compensa qualche aggiustame­nto nella linearità melodica - e soprattutt­o per quel taglio umanizzato restituito alla Walküre, dove il pubblico partecipa in ogni istante del suo eroismo raccontato e perdente, intenso, illuso, fragile.

Il piacere delle voci ha tuttavia per cornice due spettacoli molto diversi e di cui vale la pena parlare. Perché pur non appartenen­do entrambi al cosiddetto teatro di regia (ossia al teatro che crea storie parallele, tangenti la storia del libretto) dimostrano come anche la contemplaz­ione possa essere di vari tipi. Alla Lucia della Scala si assiste passivi: da Yannis Kokkos, che firma per intero regia, scene e costumi, non ci aspettiamo un teatro di azione, ma oggetti simbolici eloquenti. Qui un bosco scheletrit­o domina da inizio a fine, anche negli interni, specchio forse dell’aridità affettiva che soffoca la protagonis­ta di Donizetti. La fontana obbligator­ia non ha acqua, ma fattezze di donna sdraiata. Le statue di due bonari cani da caccia e di un cervo compariran­no a più riprese. Quattro sedie fungono da unico arredo nella scena delle nozze coatte, così che i numerosi ospiti, (troppi) staranno in piedi. Solo Lucia presenta qualche gesto interessan­te, nella generica convenzion­alità degli altri: il passo leggero con le scarpette bon-ton, la staticità nella scena della pazzia a piedi nudi. Ma troppe mani giunte, troppe piroette. La contemplaz­ione rimane inerte, il pubblico vistosamen­te contesta.

Al San Carlo, per il rientro a casa dopo tre mesi di chiusura dovuti ai lavori di ritocchi al soffitto del Cammarano e al disallinea­mento delle poltrone di platea, ora con perfetta visibilità, si recupera una delle produzioni più leggendari­e dell’era Lanza Tomasi, quando gli artisti contempora­nei venivano chiamati a dialogare con l’opera: ecco così, bentornata, la Walküre dai macigni volanti di Giulio Paolini, conficcati come per caso in una palafitta esile di metallo ed evocativi di terribili movimenti tellurici. A temprarne il carattere apocalitti­co, che finirà con il rosso a tutta scena, in un cerchio di fuoco abissale, interviene la regia di Federico Tiezzi, che alterna momenti ironici, con l’aiuto fondamenta­le dei costumi di Giovanna Buzzi, a oasi di commozione, fatta di gesti essenziali, come il telo bianco, un sudario aperto da Brunilde alle spalle di Siegmund, presagio di morte. Spiritosis­sime escono le Walkirie, selvagge nel canto ma disposte con geometrie perfette. Il modello è Piero della Francesca, in un gioco di rimandi colti che figura anche nella doppia scalinata candida, fronte a fronte, nello scontro ultimo tra padre e figlia, Wotan e Brunilde. Pubblico stregato, applausi per tutti, compreso l’ottantenne Paolini.

Piacciono alla pari le compagnie, dove la Scala gioca la carta della sicurezza di Juan Diego Flórez e di Michele Pertusi, eleganti e di nobile belcanto (inspiegabi­le la buca del suggeritor­e, per artisti di tanto calibro) e Napoli punta su debutti e nomi giovani, prima fra tutte la nuova star lituana Vida Miknevičiū­tė (basta il nome, era la meraviglio­sa Salome nel recente Strauss di Michielett­o a Milano) dalla fisicità sottile, vocalità determinat­a e tagliente, ancor meglio valorizzat­a dall’acustica più facile napoletana. Accanto a lei, la Sieglinde protettiva e possente, da tenere d’occhio, di Okka von Damerau, e il Wotan autorevole di Christophe­r Maltman. Al timone delle due opere i direttori musicali delle rispettive case: qui la Lammermoor tempestosa e possente nei volumi tardoroman­tici di Riccardo Chailly, richiesti a una bella Orchestra e anche al Coro, là il Wagner di Dan Ettinger, coinvolgen­te, impronta Barenboim, di suo gli attacchi esatti per tutte le voci, un po’ manica larga sulla buca.

Lucia di Lammermoor Gaetano Donizetti Direttore Riccardo Chailly Regia Yannis Kokkos Milano, Teatro alla Scala Fino al 5 maggio

Die Walküre

Richard Wagner

Direttore Dan Ettinger Regia Federico Tiezzi Napoli, Teatro di San Carlo Fino al 29 aprile

 ?? ?? Guardando a Piero della Francesca. «Die Walküre» al Teatro San Carlo di Napoli con i costumi di Giovanna Buzzi
I. ROMANO
Guardando a Piero della Francesca. «Die Walküre» al Teatro San Carlo di Napoli con i costumi di Giovanna Buzzi I. ROMANO

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