Il Sole 24 Ore - Domenica

TRIPLO REGISTA DI Sé STESSO

- Di Roberto Escobar

RIFLESSI NEL GRANDE SCHERMO

»È un intreccio di nostalgie, Il sol dell’avvenire (Italia, 2023, 95’). Giunto alla soglia dei settant’anni, Nanni Moretti mette in scena Nanni Moretti. Con le cosceneggi­atrici Francesca Marciano, Federica Pontremoli e Valia Santella, si racconta nei panni di un regista con il suo stesso nome,

Giovanni, che gira un film sulla rivolta ungherese del 1956. In parallelo, si racconta mentre progetta di girare un altro film – una storia d’amore con sole canzoni italiane – e mentre medita di girarne un terzo su un tale, sempre lui, che attraversa Roma nuotando di piscina in piscina. E ancora si racconta mentre pronuncia sentenze definitive, e più di una volta condivisib­ili, sui troppi malvezzi di chi oggi fa cinema, lui escluso (c’è purtroppo una interminab­ile sequenza in cui il suo Giovanni non si accontenta di infierire, a ragione, sulla stupida estetica della violenza di un giovane regista che si crede un genio, ma infierisce anche sulla pazienza di qualche spettatore).

Veniamo alle nostalgie. La prima, esplicita, è per i fatti ungheresi, e per quanto il Pci avrebbe potuto-dovuto fare.

Qui, per ridurre ex post il dolore per quanto il Pci non fece, la sceneggiat­ura se ne inventa un esito ben più felice. Ne ha tutto il diritto. Come dice Giovanni, la storia non si fa con i se, ma un film sì. La seconda nostalgia è per una giovinezza – la sua, la nostra – che non si sarebbe voluta perdere, e che si è persa. Il momento più commosso del film è un déjeuner sur l’herbe, luminoso e lontano come un’antica foto ritrovata.

E c’è una terza nostalgia, quella per il “personaggi­o” Moretti, così come è stato amato dal pubblico – dal suo pubblico – a partire dall’esordio di Io sono un autarchico (1976). Quasi temendo che l’amore abbia perso un po’ della sua forza, Giovanni/Nanni dissemina Il sol dell’avvenire di rimandi, citazioni, allusioni a quel personaggi­o. Si avverte tenerezza, in questa preoccupaz­ione, e un’umanissima fragilità. C’è anche dell’ironia, e qua e là dell’autoironia. Il che però non basta a fare dell’intreccio di nostalgie qualcosa più di una messa in scena di sé stesso.

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«Il sol dell’avvenire» di Nanni Moretti. Al centro, Nanni Moretti nei panni del regista Giovanni

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