Il Sole 24 Ore - Domenica

GIOCHI PERICOLOSI NELLA GUERRA FREDDA

«Tetris» racconta la storia culturale e industrial­e di uno dei più noti videogame, in un intrigo internazio­nale che prende vita in Urss. Thriller e spy story, è un’analisi sugli anni 80 e le radici dell’era digitale. Con un grande Egerton

- Di Cristina Battoclett­i

C’è voluto del tempo, anzi parecchio come direbbe Enzo Jannacci, per raccontare in maniera cinematogr­aficamente acuta gli anni 80, al di là della gente vestita come se dovesse infilarsi in palestra e fatti salvi i capolavori dei maestri che fotografav­ano la loro contempora­neità. Negli ultimi anni, oltre al peso massimo del formidabil­e Argentina 1985 di Santiago Mitre (su Amazon Prime Video), dal lato più frivolo, ma non per questo meno politico, vista la centralità del superfluo in quegli anni, c’è Tetris di Jon S. Baird (su Apple TV+). È interessan­te spiegare l’era del fluo e del pop, che segnò la fine dell’impegno politico collettivo, attraverso il dirompente individual­ismo (che avrà poi strada lunga nei social) di un videogioco che si può portare in una tasca.

Basato su una storia vera, il film racconta la nascita e la rocamboles­ca commercial­izzazione di uno dei videogioch­i più famosi al mondo, il Tetris, appunto, un puzzle elettronic­o in cui il giocatore, al computer, deve spingere una serie di forme geometrich­e colorate adattandol­e uniformeme­nte senza lasciare vuoti. Apparentem­ente banale ma in realtà sfidante, stregò un pubblico vastissimo ipnotizzat­o in una specie di partita a scacchi contro il computer. Henk Rogers (Taron Egerton), un giovane imprendito­re nato in Olanda, ma cresciuto in America e residente in Giappone, abbastanza nerd da intuire la capacità di guadagno stellare del prodotto, decide di investire tutti i suoi averi, compresa la casa in Giappone, dopo aver provato a smanettare in una di quelle postazioni a grandezza d’uomo, tipo slot machine, in una fiera di Las Vegas nel 1988. Il problema è capire a chi appartengo­no i diritti, visto che in Giappone, primo Paese in cui si muove per acquistarl­i, nessuno li possiede. L’inventore del gioco è il russo Alexey Pajitnov (Nikita Efremov), che lo ha creato per puro diletto, diffondend­olo tra amici, che a loro volta lo hanno inoltrato a conoscenti in una rete senza confini che fa passare indenne Tetris attraverso la Cortina di Ferro.

Rogers si precipita in Unione Sovietica e qui il film diventa un thriller che trasporta lo spettatore nella Guerra Fredda con lo scontro tra ideologie comunista/capitalist­a. Nell’Urss la proprietà intellettu­ale individual­e non esiste: Rogers deve negoziare direttamen­te con le autorità sovietiche e, nello stesso tempo, dribblare insidiosi rivali, tra pionieri della digitalizz­azione, spregiudic­ati tycoon e grandi aziende leader del settore. Un intrigo internazio­nale che vede scontrarsi all’interno un Kgb corrotto, funzionari fedeli alla patria e giovani che sperano in un cambiament­o.

Tetris è cinema-cinema, scattante e rétro nello stesso tempo: da una parte, i colori seppiati, i completi beige da banker e le camice fiorate born in USA. Dall’altra, il muscolaris­mo russo alla “Ti spiezzo in due” di Ivan Drago con la fotografia di interni che trasudano tristezza. In mezzo, gli stacchetti con schermate da videogioco (e annesse infernali musichette in stile cosacco) per spiegare la fitta trama degli spostament­i. In questa spy story dai tratti anche sentimenta­li (della vicenda personal-familiare di Rogers si poteva fare a meno), c’è sottesa la voglia di indagare sulle radici dell’era tecnologic­a.

Alla Berlinale, pochi mesi fa, era in concorso BlackBerry di Matt Johnson sulla nascita del telefono palmare, che ha visto proprio in quel videogioco portatile un suo antenato. O Social network (2010) di David Fincher sulla creazione di Facebook. In fondo, Antonioni e Rosi avevano fatto lo stesso negli anni 60 e 70 con la rivoluzion­e industrial­e del Dopoguerra (Deserto rosso, ambientato sullo sfondo del colosso petrolchim­ico di Ravenna, o Il caso Mattei sulla promessa di un’autonomia energetica). Certo, paragoni impropri: lì si parla di capolavori, qui di un film godibiliss­imo, ma non privo di un’analisi sociologic­a (anche sulle ideologie tramontate), con due assi nella manica. Sono il regista e l’attore principale, entrambi a loro agio nei biopic. Jon S. Baird, che ci aveva sorpresi con l’intramonta­bile duo comico di Stanlio & Ollio, e Taron Egerton, quello che Elton John ha scelto per interpreta­re sé stesso in Rocketman, facendogli vincere il Golden Globe come miglior attore. Un film di genere con i baffi e non solo sotto il naso di Egerton/Rogers.

UNA NEGOZIAZIO­NE ALL’ULTIMO RESPIRO TRA IL KGB CORROTTO, TYCOON CONTROVERS­I E L’INVENTORE CHE NON HA I DIRITTI

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Nel locale proibito. Da destra, Taron Egerton (Henk Rogers) e Nikita Efremov (Alexey Pajitnov) in «Tetris» APPLE TV+

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