#ACCETTARSI
BREVIARIO
»Che cos’è la felicità se non il vivere in conformità a sé stessi? L’aquila chiede forse delle penne d’oro? Il leone ambisce avere artigli d’argento? La melagrana desidera che i suoi chicchi siano altrettante pietre preziose?
Le immagini sono folgoranti per l’assurdo che contengono: ecco un’aquila le cui ali sono appesantite da penne d’oro massiccio, oppure un leone che sfodera artigli coniati con l’argento, o una melagrana che viene squarciata e fa scivolare fuori una piccola cascata di diamanti. Ciò che conta è evidentemente la lezione morale illustrata da questi simboli. A proporcela è il famoso drammaturgo norvegese Henrik Ibsen in una sua opera minore a cui lavorò a lungo – dal 1864 al 1873 – senza però raggiungere la potenza di altri suoi testi (chi non ricorda Casa di bambola, o Spettri, o Peer Gynt?).
Stiamo parlando di Cesare e Galileo, due figure simboliche di una fondamentale svolta storica dell’Occidente, ossia il passaggio dal paganesimo, incarnato da Giulio Cesare, al cristianesimo che aveva il suo emblema in Cristo, l’uomo della Galilea. La lezione etica suggerita da Ibsen è nell’indicazione di apertura: ci si realizza e si è felici solo se si vive «in conformità a sé stessi», con le proprie penne, unghie e opere fruttuose. L’accento va su una scelta apparentemente semplice, l’accettarsi per quello che si è, senza vaneggiamenti ma anche senza scoraggiamenti. Sono un po’ questi i due estremi che tutti qualche volta abbiamo sfiorato e imboccato: illuderci di essere superiori, avvolgendoci nel manto della superbia, oppure precipitando a terra nello scontento e nella sfiducia. Essere realistici e oggettivi su sé stessi è, invece, il vero esercizio da compiere.