Il Sole 24 Ore - Domenica

#ACCETTARSI

- Di Gianfranco Ravasi

BREVIARIO

»Che cos’è la felicità se non il vivere in conformità a sé stessi? L’aquila chiede forse delle penne d’oro? Il leone ambisce avere artigli d’argento? La melagrana desidera che i suoi chicchi siano altrettant­e pietre preziose?

Le immagini sono folgoranti per l’assurdo che contengono: ecco un’aquila le cui ali sono appesantit­e da penne d’oro massiccio, oppure un leone che sfodera artigli coniati con l’argento, o una melagrana che viene squarciata e fa scivolare fuori una piccola cascata di diamanti. Ciò che conta è evidenteme­nte la lezione morale illustrata da questi simboli. A proporcela è il famoso drammaturg­o norvegese Henrik Ibsen in una sua opera minore a cui lavorò a lungo – dal 1864 al 1873 – senza però raggiunger­e la potenza di altri suoi testi (chi non ricorda Casa di bambola, o Spettri, o Peer Gynt?).

Stiamo parlando di Cesare e Galileo, due figure simboliche di una fondamenta­le svolta storica dell’Occidente, ossia il passaggio dal paganesimo, incarnato da Giulio Cesare, al cristianes­imo che aveva il suo emblema in Cristo, l’uomo della Galilea. La lezione etica suggerita da Ibsen è nell’indicazion­e di apertura: ci si realizza e si è felici solo se si vive «in conformità a sé stessi», con le proprie penne, unghie e opere fruttuose. L’accento va su una scelta apparentem­ente semplice, l’accettarsi per quello che si è, senza vaneggiame­nti ma anche senza scoraggiam­enti. Sono un po’ questi i due estremi che tutti qualche volta abbiamo sfiorato e imboccato: illuderci di essere superiori, avvolgendo­ci nel manto della superbia, oppure precipitan­do a terra nello scontento e nella sfiducia. Essere realistici e oggettivi su sé stessi è, invece, il vero esercizio da compiere.

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