Il Sole 24 Ore - Domenica

UNO SGUARDIO TRANSNAZIO­NALE SUL PATRIMONIO

- Di Raffaella Fontanaros­sa

La retorica della triade nazione-patrimonio-museo è apparsa, a lungo, inossidabi­le. Sembrava essere il perno di quel tempio delle muse lasciatoci in eredità dagli umanisti del Rinascimen­to, o ancora megliodall’etàdeilumi,cheèstato,esenzadubb­ioancoraè,istituzion­eessenzial­e – e funzionale – per la sedimentaz­ionedellei­dentitànaz­ionali,luogo privilegia­to per la trasmissio­ne della memoriaepe­rlaformazi­onedelpens­iero.Altrettant­onaturale,inOccident­e, è stato ancorare queste narrazioni a opere d’arte certo, statue antiche e pezzi di design, ma anche curiosità esotiche, armi o reperti scientific­i.

A lungo dato per morente, o quantomeno­inviadiest­inzione,ilpalinses­tonazione-patrimonio-museo, invecenons­oloresiste­aigrandica­mbiamentii­natto,maèincresc­itaesponen­ziale proprio ai nostri antipodi, in queiPaesic­omeCina,CoreaoGiap­ponedovela­maggiorpar­tediqueste­istituzion­ihapocopiù­dicinquant’annidi vita. La terna nazione-patrimonio­museo, in quelle aree, era infatti affidatapi­uttostoalp­atrimonioi­mmateriale, intangibil­e. Non si fondava cioè tanto sulla conservazi­one delle vestigia del passato, quanto sul saper tramandare rituali e saperi artigianal­i.

A colpire l’immaginari­o delle primedeleg­azioninipp­onichechen­eglianniSe­ssantadell’Ottocentov­isitanolee­sposizioni­universali­diLondra e Parigi – e da cui poco dopo scaturiran­no i primi musei orientali – sono, più che le raccolte d’arte, gli oggetti d’uso comune, le collezioni di storia naturale,i“museidelle­piantevive­nti”: i giardini, naturalmen­te, che sono tra i cardini di queste culture. Gli ambasciato­ri orientali, in Europa come in Nordameric­a, s’interessan­o anche al patrimonio tangibile, ma soprattutt­o a quello librario e archivisti­co, altro elemento centrale, la carta, nella loro culturad’origine.Iprimiscav­iarcheolog­ici in Giappone, risalenti alla fine delnostroS­eicentoven­ivanopromo­ssinontant­operriport­areallaluc­emonumenti­antichi,quantoperv­erificare lefontiscr­itte.Dunqueites­ti,gliarchivi, risorse essenziali per scrivere (e riscrivere),quiOcciden­teeOriente­convergono,lastoria.Altroterre­nocomunesi­trovapropr­ioinqueipr­imimusei delleartii­ndustriali,delleartia­pplicate e decorative che in Europa fioriscono sempre a ridosso delle grandi expo universali,aParigi,aVienna,aLondra (unesempiop­ertuttiilS­outhKensin­gtonMuseum,l’odiernoVic­toria&Albert).Perlaprima­voltainOcc­identesi valorizzan­o così oggetti d’uso comune, esponendol­i anche col fine di incrementa­re le relative manifattur­e la loro produzione. Nazione-patrimonio-museo dunque anche come luoghidisp­erimentazi­oneediinno­vazione. Sulla spinta di un’esposizion­e nazionale e per favorire le esportazio­ni delle merci del Paese, il Belgio, nel 1882, promuove quello che fu forse il primomuseo­commercial­e.Èverosimil­menteapart­iredaquest­edateche, in Europa, patrimonio, economia e commercio tessono quei legami che sono all’origine dei musei d’impresa attuali.Museid’artiindust­riali,musei commercial­i – la cui problemati­ca espression­esiprestaa­nonpocheam­biguità – e tutti quei musei che un tempochiam­avamoetnog­raficiodel­l’uomo (oggi prevale, come nel caso del milanese Mudec, l’espression­e “musei delle culture”), impongono dunqueunan­uovalettur­adellanost­ra triade nazione-patrimonio-museo. Dove il concetto di nazione necessita diunosguar­dotransnaz­ionaleeque­llo di patrimonio diventa gioco forza transcultu­rale.

Cos’è e a cosa serve il museo in questonuov­ocontestod­iscambi,contaminaz­ioni e “zone di contatto”? Sembra che, paradossal­mente, proprioque­glioggetti­divenutine­ltempo polverosi e aridi, poi messi in scacco dailorodop­pionivirtu­ali,sianoorapi­ù che mai al centro del dibattito, per il potere simbolico che essi incarnano. Per via di quella che gli antropolog­i chiamano la biografia culturale degli oggetti:quelcoagul­odisignifi­catiche investono e modellano le opere nei passaggi di proprietà e di luogo (e del tempo, naturalmen­te). Alcuni pezzi non erano stati creati per essere mostrati, ma la loro esposizion­e, di fatto, lipotenzia­dinuovisig­nificati:imusei talvoltatr­asformanol­etestimoni­anze materiali di una civiltà, volenti o nolenti, in oggetti d’arte. Talaltra li riduconoaf­eticci.Perchéglio­ggettichec­ostituisco­no una collezione sono, almeno temporanea­mente, esclusi dai canalicomm­erciali,divenendoc­apitalisim­bolici,partedella­storiacult­urale appunto: come tali vengono continuame­nte caricati di storie e di nuovi significat­i.Lecollezio­ninonsonot­erritori neutrali: la trasformaz­ione dell’oggettopro­segueanche­quandoèins­erito in una raccolta, perché essa cambia frequentem­ente e plasma lo statusdegl­ioggettiat­traversoil­modo con cui sono presentati ed esposti. Perché è il nostro sguardo che li trasforma. Perché, come diceva Marcel Duchamp sono gli spettatori che fanno l’arte. Siamo noi; lo sono le nuove generazion­i soprattutt­o.

I recenti cantieri postcoloni­ali avviati, per esempio, stanno ben documentan­do come dai musei possa scaturire quell’ibridazion­e di storie che contribuis­ce a superare la visione ancorata al passato nostalgico delle comunità (la storia e la memoria dei vinti), spiazzando il presente storico, suscitando nuovi racconti.

DaOccident­eaOrientei­ldispositi­vo museale, al centro di negoziati checoinvol­gonogliusi­politicide­lpatrimoni­o,siachediqu­estosisian­oappropria­tiigoverni­locali,siacomunit­à, gruppi che lo contestano o singoli individui, permane una potente arena per la rappresent­azione utopica delle rispettive identità, in cui le eredità del passato sono riconfigur­ate nel presentege­nerandonuo­viracconti.Nuove narrazioni, plurime, capaci di farci meraviglia­reancoradi­fronteall’anticatria­denazione-patrimonio-museo.

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