UNO SGUARDIO TRANSNAZIONALE SUL PATRIMONIO
La retorica della triade nazione-patrimonio-museo è apparsa, a lungo, inossidabile. Sembrava essere il perno di quel tempio delle muse lasciatoci in eredità dagli umanisti del Rinascimento, o ancora megliodall’etàdeilumi,cheèstato,esenzadubbioancoraè,istituzioneessenziale – e funzionale – per la sedimentazionedelleidentitànazionali,luogo privilegiato per la trasmissione della memoriaeperlaformazionedelpensiero.Altrettantonaturale,inOccidente, è stato ancorare queste narrazioni a opere d’arte certo, statue antiche e pezzi di design, ma anche curiosità esotiche, armi o reperti scientifici.
A lungo dato per morente, o quantomenoinviadiestinzione,ilpalinsestonazione-patrimonio-museo, invecenonsoloresisteaigrandicambiamentiinatto,maèincrescitaesponenziale proprio ai nostri antipodi, in queiPaesicomeCina,CoreaoGiapponedovelamaggiorpartediquesteistituzionihapocopiùdicinquant’annidi vita. La terna nazione-patrimoniomuseo, in quelle aree, era infatti affidatapiuttostoalpatrimonioimmateriale, intangibile. Non si fondava cioè tanto sulla conservazione delle vestigia del passato, quanto sul saper tramandare rituali e saperi artigianali.
A colpire l’immaginario delle primedelegazioninipponichecheneglianniSessantadell’OttocentovisitanoleesposizioniuniversalidiLondra e Parigi – e da cui poco dopo scaturiranno i primi musei orientali – sono, più che le raccolte d’arte, gli oggetti d’uso comune, le collezioni di storia naturale,i“museidellepianteviventi”: i giardini, naturalmente, che sono tra i cardini di queste culture. Gli ambasciatori orientali, in Europa come in Nordamerica, s’interessano anche al patrimonio tangibile, ma soprattutto a quello librario e archivistico, altro elemento centrale, la carta, nella loro culturad’origine.Iprimiscaviarcheologici in Giappone, risalenti alla fine delnostroSeicentovenivanopromossinontantoperriportareallalucemonumentiantichi,quantoperverificare lefontiscritte.Dunqueitesti,gliarchivi, risorse essenziali per scrivere (e riscrivere),quiOccidenteeOrienteconvergono,lastoria.Altroterrenocomunesitrovaproprioinqueiprimimusei delleartiindustriali,delleartiapplicate e decorative che in Europa fioriscono sempre a ridosso delle grandi expo universali,aParigi,aVienna,aLondra (unesempiopertuttiilSouthKensingtonMuseum,l’odiernoVictoria&Albert).PerlaprimavoltainOccidentesi valorizzano così oggetti d’uso comune, esponendoli anche col fine di incrementare le relative manifatture la loro produzione. Nazione-patrimonio-museo dunque anche come luoghidisperimentazioneediinnovazione. Sulla spinta di un’esposizione nazionale e per favorire le esportazioni delle merci del Paese, il Belgio, nel 1882, promuove quello che fu forse il primomuseocommerciale.Èverosimilmenteapartiredaquestedateche, in Europa, patrimonio, economia e commercio tessono quei legami che sono all’origine dei musei d’impresa attuali.Museid’artiindustriali,musei commerciali – la cui problematica espressionesiprestaanonpocheambiguità – e tutti quei musei che un tempochiamavamoetnograficiodell’uomo (oggi prevale, come nel caso del milanese Mudec, l’espressione “musei delle culture”), impongono dunqueunanuovaletturadellanostra triade nazione-patrimonio-museo. Dove il concetto di nazione necessita diunosguardotransnazionaleequello di patrimonio diventa gioco forza transculturale.
Cos’è e a cosa serve il museo in questonuovocontestodiscambi,contaminazioni e “zone di contatto”? Sembra che, paradossalmente, proprioqueglioggettidivenutineltempo polverosi e aridi, poi messi in scacco dailorodoppionivirtuali,sianoorapiù che mai al centro del dibattito, per il potere simbolico che essi incarnano. Per via di quella che gli antropologi chiamano la biografia culturale degli oggetti:quelcoagulodisignificatiche investono e modellano le opere nei passaggi di proprietà e di luogo (e del tempo, naturalmente). Alcuni pezzi non erano stati creati per essere mostrati, ma la loro esposizione, di fatto, lipotenziadinuovisignificati:imusei talvoltatrasformanoletestimonianze materiali di una civiltà, volenti o nolenti, in oggetti d’arte. Talaltra li riduconoafeticci.Perchéglioggettichecostituiscono una collezione sono, almeno temporaneamente, esclusi dai canalicommerciali,divenendocapitalisimbolici,partedellastoriaculturale appunto: come tali vengono continuamente caricati di storie e di nuovi significati.Lecollezioninonsonoterritori neutrali: la trasformazione dell’oggettoprosegueanchequandoèinserito in una raccolta, perché essa cambia frequentemente e plasma lo statusdeglioggettiattraversoilmodo con cui sono presentati ed esposti. Perché è il nostro sguardo che li trasforma. Perché, come diceva Marcel Duchamp sono gli spettatori che fanno l’arte. Siamo noi; lo sono le nuove generazioni soprattutto.
I recenti cantieri postcoloniali avviati, per esempio, stanno ben documentando come dai musei possa scaturire quell’ibridazione di storie che contribuisce a superare la visione ancorata al passato nostalgico delle comunità (la storia e la memoria dei vinti), spiazzando il presente storico, suscitando nuovi racconti.
DaOccidenteaOrienteildispositivo museale, al centro di negoziati checoinvolgonogliusipoliticidelpatrimonio,siachediquestosisianoappropriatiigovernilocali,siacomunità, gruppi che lo contestano o singoli individui, permane una potente arena per la rappresentazione utopica delle rispettive identità, in cui le eredità del passato sono riconfigurate nel presentegenerandonuoviracconti.Nuove narrazioni, plurime, capaci di farci meravigliareancoradifronteall’anticatriadenazione-patrimonio-museo.