COME KAFKA, UN ASSUNTO ASSURDO è SPUNTO DI PARTENZA
Figli della favola fa parte di una serie chiamata Gente basca. È il terzo titolo della serie pubblicato finora, e fa seguito a Dopo le fiamme e Anni lenti. Ognuno di questi libri si può leggere in maniera indipendente. Fino a un certo punto, però, dialogano tra loro o si integrano. In tutti, i protagonisti sono uomini e donne della mia terra natale, i Paesi Baschi, e forse non è eccessivo giudicarli nel loro insieme, sebbene non sia assolutamente imprescindibile.
All’inizio, prima di scrivere il rigo iniziale di Figli della favola, c’era una domanda. Ora che l’ETA ha deciso di rinunciare alle armi, cosa succederebbe se…? Forse subito dopo mi è venuta un’immagine, la possibilità di un episodio, insomma, quelle cose disperse che cominciano a formare dei legami in un angolo del cervello e che un bel giorno accendono la volontà di scrivere una storia. Con più precisione ricordo che il processo di scrittura è risultato piuttosto complicato a causa del fatto che mi ero imposto una concisione estrema e che avevo bisogno di trovare in ogni momento un equilibrio che salvasse il romanzo dall’incorrere in un eccesso di caricatura o, al contrario, nella giustificazione dei terroristi.
In realtà, non c’è stato bisogno di ripropormi la parodia. Senza deciderlo in maniera deliberata, ho assunto il modello di Kafka, al quale piaceva iniziare i suoi racconti a partire da una premessa assurda che poi sviluppava con una rigida logica. Ho cercato di fare la stessa cosa, senza accentuare di proposito i tratti umoristici. Dal principio alla fine i miei personaggi agiscono seguendo un sistema logico-mentale, però a partire dall’assurdità di pretendere di essere dei combattenti senza esperienza, senz’armi, senza struttura organizzativa e senza soldi. Che i lettori li trovino divertenti o grotteschi, è una faccenda che riguarda i lettori.
Io sono critico nei confronti del fanatismo quando mi esprimo negli articoli o nelle interviste. Nei romanzi adotto una distanza rispetto a ciò che narro allo scopo di non danneggiare la letteratura riempiendola di ideologia esplicita. Non tutelo mai i lettori dicendo loro ciò che devono pensare a partire dai miei testi, né commetto nei loro confronti l’abuso di incamminarli verso l’approvazione di una determinata tesi. Questo principio l’ho mantenuto anche in Figli della favola.
(Traduzione di Bruno Arpaia)