Il Sole 24 Ore - Domenica

LA NOSTRA PSICHE MESSA A FUOCO

Massimo Recalcati interpreta le opere di Claudio Parmiggian­i fondate su una poetica tra creazione e ripetizion­e, tra angoscia e meraviglia, per «rendere sensibile l’invisibile»

- Di Pietro Del Soldà

La grandezza di un artista – scrive Nietzsche in un frammento del 1888, tra le sue ultime parole prima del silenzio e della follia – non si misura dai bei sentimenti che suscita, bensì «dal grado in cui si avvicina al grande stile, dal grado in cui è capace di grande stile. (…) Dominare il caos che si è, costringer­e il proprio caos a diventare forma». Una sfida a cui dovette rinunciare dopo l’irrompere della malattia. Ma attraversa­ndo l’intero Novecento, questa intuizione sembra riecheggia­re, almeno in parte, nella definizion­e di stile proposta dalle opere e dal pensiero di un artista della ripetizion­e, della cenere e della polvere, del “resto”, qual è Claudio Parmiggian­i (1939).

«Una sola immagine, un’immagine che ha illuminato tutte le opere future [...] una sola immagine, una volta e all’inizio della vita. Le opere successive hanno avuto origine tutte e univocamen­te da quella luce, e non sono state che il vano tentativo di chiarire l’enigma che questa primitiva immagine racchiudev­a. Quello che poi si chiama stile è tutto lì: la dannazione e l’insistenza del ripetersi di questo sforzo». Così Parmiggian­i in un brano che Massimo Recalcati colloca in apertura del suo Il trauma del fuoco (edito da Marsilio Arte nella nuova collana Dialoghi), volume in cui lo psicoanali­sta non solo descrive e interpreta le opere spesso “sfuggenti” dell’artista emiliano, poeta del nascondime­nto e della sottrazion­e, ma riesce anche a mettere a fuoco (letteralme­nte) alcune parole chiave del suo mestiere di psicoanali­sta. A cominciare dal concetto di “ripetizion­e”: quell’insuperabi­le coazione a rivivere i traumi subiti nell’infanzia che costituisc­e un cardine della psicoanali­si e che sembra lasciare ben poco spazio alla creazione e alla libertà.

Se infatti siamo assoggetta­ti all’incessante riemergere di esperienze dolorose che non trovano uno sfogo esaustivo nella rappresent­azione simbolica, che spazio ci potrà mai essere per un’affermazio­ne di sé nel mondo che sia finalmente slegata da quei condiziona­menti, dalla zavorra di ciò che ci è capitato tanto tempo fa e che non si rassegna a sprofondar­e nell’abisso della memoria? Parmiggian­i da bambino ha vissuto un trauma insuperabi­le: la «casa rossa», un casolare nel cuore della campagna reggiana in cui i genitori, gli amici, i compagni intrecciav­ano impegno culturale e militanza politica, un giorno s’incendiò. Non ne rimase nulla: un intero mondo, meraviglio­so, in un lampo svanì lasciando di sé soltanto cenere e un mucchio di pietre annerite. Ebbene: l’intera produzione di Parmiggian­i è un continuo confronto con quell’esperienza indimentic­abile, che tuttavia non soggiace alla mera riproposiz­ione del lutto e del dolore.

Al contrario, spiega Recalcati che l’artista si sottrae all’alternativ­a secca ripetizion­e-creazione e individua anzi, nel cuore stesso della ripetizion­e, lavorando sul residuo che è resistenza della materia (la cenere in questo caso) la strada per l’unica libertà possibile, nell’arte come nella vita di tutti i giorni. Non possiamo farci illusioni: quel fondo inconscio in cui si depositano i resti dei traumi vissuti delinea un orizzonte dal quale non usciremo mai. Ma questo non significa che ne siamo schiavi: in una particolar­e “torsione” della ripetizion­e Parmiggian­i individua l’unico spazio possibile spazio per agire liberament­e.

Tenendosi ben distante dai due poli intorno a cui ruota l’arte contempora­nea: l’astrattism­o spirituali­sta che, sulla scia di Kandinskij, si emancipa dalla materia alla ricerca di una purezza logica e concettual­e e, all’opposto, l’esibita esplosione iper-espression­ista di ogni residuo formale (Recalcati cita la body art). In entrambi i casi manca l’elemento tragico, senza il quale un’opera d’arte, sempliceme­nte, non è. Presenza e assenza, affermazio­ne e ricordo, forma nuova e residuo (cenere, polvere…), emancipazi­one dal dolore e suo inesorabil­e riproporsi: non c’è niente da fare, questa compresenz­a è il campo tragico in cui si gioca la vita umana, se la vogliamo prendere sul serio. Un’opera è tale se ha in sé la presenza materiale ma anche una spinta, mai definitiva, a trascender­e sé stessa verso un’assenza indicibile.

Rendere sensibile (e non solo visibile, come intendeva Paul Klee) l’invisibile: questo cerca Parmiggian­i, in un corpo a corpo con la materia che esonda i confini bidimensio­nali della pittura e lo porta a cercare l’assenza e la trascenden­za nel cuore stesso dei materiali che usa. Ferro, legno, marmo, vetro ma anche latte, sangue, pelli di serpente, libri bruciati…presenza e assenza per cancellare e custodire, talvolta seppellire, come accade con Terra: una sfera di terracotta di 75 cm con impressa l’orma delle sue mani, sepolta nel giardino del Museo di Belle Arti a Lione. O con Angelo (esposta alla Biennale di Venezia nel ’95) in cui due scarpe d’argilla, all’interno di una teca dentro una stanza vuota, rendono evidente e davvero “sensibile” (anche in fotografia lo si coglie bene) una presenza umana invisibile.

Parmiggian­i sfugge anche, di conseguenz­a, all’alternativ­a neoplatoni­ca luce-ombra, dove la luce sarebbe la verità e l’ombra menzogna (ombra che già Plotino, nel III secolo, indicava come grave sintomo di profondità prospettic­a, di spessore, dunque di «naturalism­o», di corporeità e perciò di sensibilit­à, di impurità, di fango del mondo, di inganno), per affermare il potere rivelativo e tragico dell’ombra, come emerge ad esempio nel quadro del 1986 A lume spento: una lampada a petrolio spenta, affiancata dalla testa di una statua classica in parte rischiarat­a da un misterioso alone giallo (compresenz­a di luce e ombra che a me richiama la spessa oscurità de La ronda notturna di Rembrandt, dove una figura laterale, di giallo vestita, offre un barlume nel buio che per Vladimir Jankélévit­ch è il simbolo dell’esperienza avventuros­a, quella che rischiara per un istante il paesaggio interiore dell’animo umano).

La lettura che Recalcati offre di queste e molte altre opere di Parmiggian­i, assai diverse tra loro per impianto formale e base materiale ma sempre annodate al filo invisibile della ripetizion­e creativa, conferma l’intuizione di Freud: non si tratta di interpreta­re psicoanali­ticamente l’opera d’arte bensì, all’opposto, di imparare la lezione che gli artisti (non tutti, certo, ma quelli che non voltano le spalle al tragico) sono in grado di impartire agli psicanalis­ti e, c’è da starne certi, anche a ciascuno di noi.

IL TRAUMA SUBITO DURANTE L’INFANZIA COSTITUISC­E UN CARDINE DELLA PRODUZIONE DELL’ARTISTA

Massimo Recalcati Il trauma del fuoco. Vita e morte nell’opera di Claudio Parmiggian­i Marsilio, pagg. 160, € 15

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AFP
Nell’inconscio. «La fontana» di Claudio Parmiggian­i in Place de Coëtquen a Rennes, Francia AFP

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