QUANDO I BAMBINI ANDAVANO IN VACANZA IN COLONIA
«L’andare in colonia», per i bambini nati nel dopoguerra, rappresentò un appuntamento estivo pressoché obbligato nella nuova Italia repubblicana, decisa a garantire anche ai figli dei ceti sociali meno favoriti le opportunità di benessere fisico e di spensieratezza vacanziera offerte da soggiorni in località marine o montane.
Si trattava, infatti, almeno di ribadire l’impegno profuso dal fascismo in tema di cura dell’infanzia, evitando, però, i precedenti obiettivi di formazione ai miti del regime. Non si poteva certo far cadere, nell’Italia della ricostruzione democratica, un obiettivo di tutela dei fanciulli svantaggiati, che traeva origine dalla necessità percepita fin dal periodo post-risorgimentale di un “fare gli italiani”, che contrastasse le tante infermità debilitanti, agli occhi della cultura medica positivista del tempo, la gioventù del Paese.
Si diffusero, così, gli ospizi per la cura dei bimbi scrofolosi, che si trasformarono, poi, col governo in “camicia nera”, in una sorta di plastica rappresentazione della volontà di trasferire i fanciulli in un mondo lontano dalla loro normalità quotidiana e configurato secondo l’idealizzata monumentalità dei rituali fascisti.
Da qui il sorgere, negli anni 30, delle centinaia di colonie che punteggiarono con la loro imponenza le nostre spiagge, soprattutto romagnole e toscane , dove si espresse l’estro creativo dei maggiori architetti del periodo, ispirato dal più avanzato modernismo razionalista intriso sovente di suggestioni futuriste.
Ne tratta con documentata precisione questo volume di Stefano Pivato, descrivendone le straordinarie volumetrie e le funzioni in esse svolte, non senza coglierne il tono da disciplinata caserma dominante nelle vaste camerate e nei lunghi refettori, come pure nei tempi ridotti lasciati ai bimbi per giochi e bagni al mare.
Fu la Chiesa cattolica, nel Dopoguerra, ad ereditare un simile compito di svago e di formazione, mutandone ovviamente modalità e obiettivi educativi, da realizzare in edifici più modesti e raccolti, meglio adatti a un rapporto con i ragazzi non ispirato al cameratismo militaresco di prima.
La speculazione edilizia, per un verso, e l’incuria delle pubbliche amministrazioni, d’altro canto, decretarono, così, la trasformazione o l’abbandono al degrado delle significative sperimentazioni di una stagione di qualche originalità dell’architettura nazionale. Mentre al chiudersi degli anni Sessanta, si avviava al termine pure l’esperienza dell’estate in colonia per le generazioni che ormai conoscevano la possibilità di vacanze in famiglia, consentite dal miglioramento delle condizioni di vita dell’intera società italiana.
Stefano Pivato
Andare per colonie estive il Mulino, pagg. 154, € 13