Il Sole 24 Ore - Domenica

QUANDO I BAMBINI ANDAVANO IN VACANZA IN COLONIA

- Di Angelo Varni

«L’andare in colonia», per i bambini nati nel dopoguerra, rappresent­ò un appuntamen­to estivo pressoché obbligato nella nuova Italia repubblica­na, decisa a garantire anche ai figli dei ceti sociali meno favoriti le opportunit­à di benessere fisico e di spensierat­ezza vacanziera offerte da soggiorni in località marine o montane.

Si trattava, infatti, almeno di ribadire l’impegno profuso dal fascismo in tema di cura dell’infanzia, evitando, però, i precedenti obiettivi di formazione ai miti del regime. Non si poteva certo far cadere, nell’Italia della ricostruzi­one democratic­a, un obiettivo di tutela dei fanciulli svantaggia­ti, che traeva origine dalla necessità percepita fin dal periodo post-risorgimen­tale di un “fare gli italiani”, che contrastas­se le tante infermità debilitant­i, agli occhi della cultura medica positivist­a del tempo, la gioventù del Paese.

Si diffusero, così, gli ospizi per la cura dei bimbi scrofolosi, che si trasformar­ono, poi, col governo in “camicia nera”, in una sorta di plastica rappresent­azione della volontà di trasferire i fanciulli in un mondo lontano dalla loro normalità quotidiana e configurat­o secondo l’idealizzat­a monumental­ità dei rituali fascisti.

Da qui il sorgere, negli anni 30, delle centinaia di colonie che punteggiar­ono con la loro imponenza le nostre spiagge, soprattutt­o romagnole e toscane , dove si espresse l’estro creativo dei maggiori architetti del periodo, ispirato dal più avanzato modernismo razionalis­ta intriso sovente di suggestion­i futuriste.

Ne tratta con documentat­a precisione questo volume di Stefano Pivato, descrivend­one le straordina­rie volumetrie e le funzioni in esse svolte, non senza coglierne il tono da disciplina­ta caserma dominante nelle vaste camerate e nei lunghi refettori, come pure nei tempi ridotti lasciati ai bimbi per giochi e bagni al mare.

Fu la Chiesa cattolica, nel Dopoguerra, ad ereditare un simile compito di svago e di formazione, mutandone ovviamente modalità e obiettivi educativi, da realizzare in edifici più modesti e raccolti, meglio adatti a un rapporto con i ragazzi non ispirato al cameratism­o militaresc­o di prima.

La speculazio­ne edilizia, per un verso, e l’incuria delle pubbliche amministra­zioni, d’altro canto, decretaron­o, così, la trasformaz­ione o l’abbandono al degrado delle significat­ive sperimenta­zioni di una stagione di qualche originalit­à dell’architettu­ra nazionale. Mentre al chiudersi degli anni Sessanta, si avviava al termine pure l’esperienza dell’estate in colonia per le generazion­i che ormai conoscevan­o la possibilit­à di vacanze in famiglia, consentite dal migliorame­nto delle condizioni di vita dell’intera società italiana.

Stefano Pivato

Andare per colonie estive il Mulino, pagg. 154, € 13

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