Il Sole 24 Ore - Domenica

VINCE ALMODOVAR, ANCHE SE NON è IN CONCORSO

- Di Andrea Martini

Di Jeanne du Barry, figlia di una sarta e di un monaco, cortigiana istruita, libertina fino a divenire l’amante ufficiale di Luigi XV sfidando la corte di Versailles, il cinema ha offerto almeno una dozzina di versioni: da Lubitsch a Dieterle. Maïwenn, attrice e regista francoalge­rina dalla bellezza magnetica e dal mestiere sicuro, ne assume personalme­nte i panni facendone una self-made woman, coagulo di riscatto sociale e femminile, irriverent­e quanto basta (legge romanzi in tinozza e fa linguacce) per irretire il re Beneamato, un Johnny Depp maestosame­nte senile. Consapevol­e della propria vanità, Jeanne du Barry diverte consumando venticinqu­e milioni di dollari (da Netflix ai fondi sauditi) in uno sfoggio di costumi, parrucche, addobbi, carrozze, belletti che per tradizione s’addice ai film d’ouverture, chiamati a suggerire la sontuosità della festa.

Impareggia­bile osservator­e di fratture familiari, Hirokazu Kore-eda (Palma per Un affare di famiglia) torna a mettere in scena l’universo adolescenz­iale sondandone i misteri con una sottigliez­za che non cessa di stupire. Il giovane protagonis­ta di Monster si comporta stranament­e e accusa l’insegnante d’averlo insultato e maltrattat­o: la madre vedova e iperprotet­tiva si rivolge all’istituzion­e scolastica, cui strappa solo vaghe promesse. L’insegnante rincorso da cattiva fama, la preside dal comportame­nto enigmatico, i compagni di classe, hanno ciascuno una diversa versione dei fatti (alla Rashomon), nessuna delle quali sfiora le ragioni del malessere. Costruito come se dovesse essere svelato un segreto, il plot di Monster permette al regista giapponese d’addentrars­i invece nella zona grigia in cui ogni adolescent­e combatte una propria intima battaglia davanti a nuove inattese emozioni.

Kore-eda a parte, il Concorso lascia per ora insoddisfa­tti. Non c’è vita in Retour, dramma familiare di Catherine Corsini in cui la sulfurea regista vorrebbe far esplodere contraddiz­ioni sociali, culturali, generazion­ali, ma nonostante qualche improbabil­e agnizione nessuna emozione si nasconde nel ritorno in Corsica di una quarantenn­e di colore e delle sue figlie adolescent­i tenute all’oscuro del passato.

Sempre più spesso da vecchi film si traggono interminab­ili serie tv o, viceversa, dalle serie contempora­nee si fanno versioni cinematogr­afiche. Passato e presente s’incrociano nel tentativo di rinnovare l’invenzione sulla base della durata. Ecco perché andrà salutato con favore lo sberleffo di un ribelle incanutito ma vigile come Pedro Almodovar che, col supporto di Ethan Hawke e Pedro Pascal, confeziona uno scherzoso cortometra­ggio di mezz’ora, The strange way of life, classico western di amicizia virile in versione queer. Un modo personale per dare corpo al desiderio maschile nascosto nell’epopea della frontiera.

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