VINCE ALMODOVAR, ANCHE SE NON è IN CONCORSO
Di Jeanne du Barry, figlia di una sarta e di un monaco, cortigiana istruita, libertina fino a divenire l’amante ufficiale di Luigi XV sfidando la corte di Versailles, il cinema ha offerto almeno una dozzina di versioni: da Lubitsch a Dieterle. Maïwenn, attrice e regista francoalgerina dalla bellezza magnetica e dal mestiere sicuro, ne assume personalmente i panni facendone una self-made woman, coagulo di riscatto sociale e femminile, irriverente quanto basta (legge romanzi in tinozza e fa linguacce) per irretire il re Beneamato, un Johnny Depp maestosamente senile. Consapevole della propria vanità, Jeanne du Barry diverte consumando venticinque milioni di dollari (da Netflix ai fondi sauditi) in uno sfoggio di costumi, parrucche, addobbi, carrozze, belletti che per tradizione s’addice ai film d’ouverture, chiamati a suggerire la sontuosità della festa.
Impareggiabile osservatore di fratture familiari, Hirokazu Kore-eda (Palma per Un affare di famiglia) torna a mettere in scena l’universo adolescenziale sondandone i misteri con una sottigliezza che non cessa di stupire. Il giovane protagonista di Monster si comporta stranamente e accusa l’insegnante d’averlo insultato e maltrattato: la madre vedova e iperprotettiva si rivolge all’istituzione scolastica, cui strappa solo vaghe promesse. L’insegnante rincorso da cattiva fama, la preside dal comportamento enigmatico, i compagni di classe, hanno ciascuno una diversa versione dei fatti (alla Rashomon), nessuna delle quali sfiora le ragioni del malessere. Costruito come se dovesse essere svelato un segreto, il plot di Monster permette al regista giapponese d’addentrarsi invece nella zona grigia in cui ogni adolescente combatte una propria intima battaglia davanti a nuove inattese emozioni.
Kore-eda a parte, il Concorso lascia per ora insoddisfatti. Non c’è vita in Retour, dramma familiare di Catherine Corsini in cui la sulfurea regista vorrebbe far esplodere contraddizioni sociali, culturali, generazionali, ma nonostante qualche improbabile agnizione nessuna emozione si nasconde nel ritorno in Corsica di una quarantenne di colore e delle sue figlie adolescenti tenute all’oscuro del passato.
Sempre più spesso da vecchi film si traggono interminabili serie tv o, viceversa, dalle serie contemporanee si fanno versioni cinematografiche. Passato e presente s’incrociano nel tentativo di rinnovare l’invenzione sulla base della durata. Ecco perché andrà salutato con favore lo sberleffo di un ribelle incanutito ma vigile come Pedro Almodovar che, col supporto di Ethan Hawke e Pedro Pascal, confeziona uno scherzoso cortometraggio di mezz’ora, The strange way of life, classico western di amicizia virile in versione queer. Un modo personale per dare corpo al desiderio maschile nascosto nell’epopea della frontiera.