IL MOMENTO FIABESCO DI ROBERTO ROSSELLINI
Nel 1948 Eduardo De Filippo suggerì al regista di girare «La macchina ammazzacattivi», una trama da commedia dell’arte, che però non funzionò. Il ricordo nel libro di Mario Verdone dedicato al Neorealismo
Nel 1948 Eduardo De Filippo suggerì a Roberto Rossellini un canovaccio da commedia dell’arte: un fotografo riceveva dal diavolo un apparecchio fotografico capace di uccidere ogni persona di cui fosse ritratta l’immagine. Celestino, il fotografo, un uomo che non ha evitato le delusioni e che vorrebbe eliminare tutti i malvagi, ma che è anche incapace di distinguere fra lecito e illecito, dapprima si vale della portentosa macchina, poi, atterrito dallo strumento che ha in mano, tentato di sopprimere sé stesso, chiede al diavolo di privarlo di quel portento, che non può realizzare la vera giustizia.
L’esperienza neorealistica, anche se i significati qui sono un po’ confusi e tutto si riduce a un vago desiderio di giustizia impossibile a realizzarsi, giova al regista, che continua a valersi dei tipi – scegliendo i suoi personaggi soltanto in base al loro “fisico” –, insiste sul paesaggio del Miracolo, forse esagera nella fiducia nelle proprie qualità di improvvisatore. La commedia di trattenimento, lo ha detto lui stesso, esige una previsione del film più minuta, uno scenario meglio elaborato. Non bastano le scalette e i trattamenti sommari quando ci si allontana dal documentario. L’applicazione dei suoi modi disinvolti nel grottesco defilippiano non pare sempre attuarsi felicemente: il montaggio del film non viene compiuto che quattro anni più tardi e non senza difficoltà. In molte parti La macchina ammazzacattivi resta opera appena abbozzata, ma non manca di una vivacità popolaresca e di una vena poetica. È una delle prime commedie in chiave neorealistica, anche se prevale la favola e preannuncia l’esaurimento, a volte fruttuoso, dello stesso Eduardo nel filo realistico italiano, dove brillerà una Napoli milionaria.
È il momento fiabesco in Rossellini, e apparirà più evidente in Francesco, giullare di Dio. Aldo Fabrizi partecipa al film nei panni del tiranno Nicolaio, ma i veri protagonisti sono i fraticelli – tipi, non attori –, che contribuiscono con la loro semplicità, con la loro umiltà, con il loro sforzo di comunicazione degno di “giullari di Dio” a restituirci – con Un realismo afferrato prodigiosamente al di fuori del tempo – l’atmosfera, lo spirito, la vitalità spirituale insieme alla rozzezza, all’assurdità e magari alla follia dei francescani del tredicesimo secolo. I “fioretti” si succedono con la stessa episodicità di Paisà. Sono quasi i buoni frati dell’episodio bolognese di questo film a indirizzare prima la curiosità, poi l’ispirazione di Rossellini verso il mondo spirituale, profondamente poetico, oltre che umano, del fraticello di Assisi e dei suoi compagni.
Le vicende sono in assoluta corrispondenza con la realtà, pur se il regista mira a un risultato che, nella semplicità, partecipi dell’eternità. Anche il costume che riesce a non essere costume è usato in questa direzione, mentre la scenografia non esiste se non – come dice Virgilio Marchi a proposito della sua collaborazione con Rossellini – come approfondimento della realtà, penetrazione intima delle cose e come annullamento nell’opera della regia. Ed è quanto suggerisce anche la scelta per Francesco della piazza di Sovana, «città le cui rovine stanno ai confini dell’immaginazione medievale».
La favola francescana non lo allontana dalla realtà, e l’autore immagina Francesco realisticamente, proprio come umanamente doveva essere. Gli avvenimenti narrati sono storici e ogni elemento visivo che concorre alla composizione è vagliato alla luce del realismo. Nel film cerca di rivelare un aspetto di Francesco che è nuovo, ma non al di fuori è la verità biografica. Sa cogliere, attraverso i diversi episodi, la santità e l’innocenza dei frati di Francesco, la loro purezza assoluta, il loro istinto immateriale. Possiamo arrivare anche a ridere di loro, noi spettatori, ma sappiamo che soltanto essi sono vicini alla “perfetta letizia”.
Mario Verdone
Cinema neorealista
A cura di Eusebio Ciccotti Treccani, pagg. 160, € 10 Vi anticipiamo un brano del capitolo Roberto Rossellini tra favola e realtà della voce enciclopedica scritta da Mario Verdone, arricchita da un contributo inedito dei figli Carlo e Luca, in cui entrambi raccontano la loro esperienza con la lezione neorealista