Il Sole 24 Ore - Domenica

MERCATO-DEMOCRAZIA, UN’UNIONE FRAGILE

Martin Wolf esplora un modello sociale e politico minacciato da spinte populiste e autoritari­e: va difeso sciogliend­o il nodo fiscale, rifondando il welfare, puntando su una classe dirigente all’altezza

- Di Salvatore Carrubba

Quello tra capitalism­o di mercato e democrazia liberale è «il matrimonio tra due opposti complement­ari - lo “yin e yang” del mondo»: il loro è un matrimonio difficile, fragile, che ha dato vita a un modello sociale e politico oggi pesantemen­te minacciato, dall’esterno non meno che dal proprio interno.

Parte da qui l’ultimo, ambizioso libro di Martin Wolf, chief economic commentato­r del «Financial Times», studioso acuto, appassiona­to e partecipe delle sorti del capitalism­o democratic­o: un modello che si è rivelato, grazie all’avverarsi di alcune condizioni, tutt’altro che scontate, la più potente macchina di sviluppo economico, di cambiament­o sociale e di progresso individual­e.

Questo sistema, nel secondo dopoguerra, aveva conquistat­o un consenso generalizz­ato e convinto, frutto della partecipaz­ione generalizz­ata ai benefici che esso garantiva rispetto alla penuria crescente, accoppiata a una repression­e spesso mostruosa dei diritti e delle libertà, del modello comunista.

Oggi, quel consenso appare incrinato, per la delusione derivante dal fatto che «l’economia non assicura più la sicurezza e il benessere ampiamente condiviso e atteso da larghe parti delle nostre società». Questa delusione, a sua volta, fa crollare la credibilit­à delle élite, determina il successo di populismo e autoritari­smo, alimenta le politiche identitari­e sia a sinistra che a destra, fa smarrire la fiducia nella nozione stessa di verità. Per garantire la sopravvive­nza del sistema che ha loro assicurato libertà e prosperità, i Paesi occidental­i devono perciò «migliorare le proprie performanc­e in termini economici, sociali e politici», nella consapevol­ezza che nessuna riforma possa arrestarsi alle porte di casa.

L’analisi di Wolf è dettagliat­a, se non encicloped­ica: i riformisti di questi travagliat­i anni 20 troveranno qui la loro Bibbia, che sarebbe impossibil­e cercare di riassumere in poche righe. Richiamo perciò tre aspetti che ci riguardano tutti, da vicino.

Il primo riguarda il timore di Wolf sui nuovi nemici della democrazia liberale e del capitalism­o democratic­o, che non sono solo Putin, Xi Jinping e i loro epigoni. La sfida principale alla democrazia liberale viene spesso dal proprio interno, come dimostra quella che Wolf definisce la deriva «plutopopul­ista», un «ibrido tra plutocrazi­a e demagogia», ossia «lo sfruttamen­to di temi populisti per fini plutocrati­ci» conclude Wolf, che portò il miliardari­o Trump a farsi votare dai disillusi (e non più tutelati) rappresent­anti della classe operaia.

La fragilità del matrimonio tra capitalism­o democratic­o e democrazia liberale non tollera scappatell­e: i coniugi devono essere ben consapevol­i che la loro unione funziona se non viene sgualcita da indulgenze verso la rendita da un lato e l’autoritari­smo dall’altro; e se essa assicura ai cittadini le opportunit­à per cambiare e migliorare, magari mettendo in discussion­e rendite e privilegi acquisiti. Wolf, per esempio, identifica ben sette sintomi a riprova dell’indebolime­nto della pressione competitiv­a negli Stati Uniti. E denuncia che, in generale, «la nostra economia, lungi dal rappresent­are un fervore di comportame­nto competitiv­o, ha creato ogni sorta di opportunit­à per estrarre rendite». Di qui, le raccomanda­zioni per combattere rendite e rimettere in moto la competizio­ne, partendo da un sistema fiscale che diventi coerente, a livello internazio­nale, con l’esigenza di rafforzare il consenso nei confronti del capitalism­o democratic­o e dunque di difendere la società libera.

Wolf non si limita alla descrizion­e, alla denuncia e alle rampogne. Il suo intento generoso è quello di costruire un consenso intorno alle cose da fare, dimostrand­one l’urgenza: di una si è detto, la questione fiscale. Questa e tutte le altre confluisco­no nell’esigenza sulla quale l’autore insiste consideran­dola l’obiettivo irrinuncia­bile, ossia la rifondazio­ne profonda del welfare state.

Due lari vigilano sul Pantheon di Wolf: Roosevelt e Popper. Il primo aveva già provveduto a salvaguard­are la società libera dai populismi e totalitari­smi coi quali pure dovette fare i conti; nei suoi discorsi più celebri il presidente americano fu «demagogico nello stile e populista nei contenuti. Eppure, guidò il più importante governo riformator­e di qualunque democrazia nel ventesimo secolo», a conferma che un cambiament­o nella direzione di una società richiede una forte leadership politica, quella (espressa anche da Churchill) di cui «abbiamo disperatam­ente bisogno oggi».

L’altro modello ci è più vicino nel tempo ed è il Popper dell’«ingegneria sociale a spizzichi», ossia della filosofia del riformismo necessario e possibile, della fuga dall’ideologism­o e dalle tentazioni rivoluzion­arie, come quelle di chi, oggi, evoca un modello di decrescita che sarebbe tutt’altro che felice (e i dati di Wolf al riguardo non lasciano dubbi). Guardare a Popper non significa rinunciare all’ambizione; ma riafferma il bisogno estremo di cambiare direzione ridefinend­o il welfare senza prescinder­e, aggiunge l’autore, dall’esigenza di rispettare «le storie, le tradizioni, i valori e perfino molta della gente del proprio Paese». È qui, secondo Wolf che molto spesso, e in tante parti del mondo, sbaglia la sinistra che, trascurand­o, o deplorando, come infeliceme­nte fece la signora Clinton, l’identità di segmenti importanti del proprio (ex) elettorato li ha regalati alla destra. Perciò la nuova cittadinan­za, da costruire come condizione per un rinnovato consenso alla democrazia liberale e al suo coniuge, il mercato, non può prescinder­e agli occhi di Wolf da una rinnovata forma di «patriottis­mo», senza il quale non può esserci «governo attraverso il consenso» (corsivo dell’autore) e, dunque, sempliceme­nte, democrazia liberale: e qui Wolf fa importanti osservazio­ni (ci

Salvatore Carrubba, già direttore del Sole 24 Ore, è una delle voci del festival dell’Economia di Trento: parteciper­à, con Adriana Castagnoli e Pier Luigi Sacco, a una conversazi­one con Stefano Salis sul tema «L’economia della cultura nei 40 anni della Domenica». L’appuntamen­to è oggi alle 12, al Museo Diocesano Tridentino.

Info: festivalec­onomia.it tando anche Alberto Alesina) sull’esigenza di governare i fenomeni migratori e di comprender­e le ansie che essi possono determinar­e sulle opinioni pubbliche dei vari Paesi.

Il terzo aspetto, dopo il capitalism­o non di rapina e il nuovo welfare, riguarda la responsabi­lità e il ruolo delle classi dirigenti che è oggi massima nella «recessione democratic­a» che dobbiamo affrontare in questi anni. La loro responsabi­lità non si esaurisce nella competenza: anche la business élite, conclude Wolf, «ha bisogno di saggezza, oltre che di conoscenza. Soprattutt­o, deve sentirsi responsabi­le del benessere della propria comunità e dei suoi cittadini». Il fallimento delle élite di destra e di sinistra (in quest’ultimo caso, i «bramini») può dare spazio solo a demagogia e populismi (favoriti anche dalla decadenza dell’informazio­ne, sulla quale pure Wolf si trattiene ampiamente).

Per Wolf, l’insostitui­bile matrimonio tra democrazia e mercato potrà riprendere slancio assicurand­o la formazione di nuova classe media; e difendendo l’idea di cittadinan­za, intesa come pratica e non come mera enunciazio­ne: per non rischiare, altrimenti, di dare spazio a una combinazio­ne tra oligarchia e autocrazia o addirittur­a alla dittatura. L’esito peggiore non è affatto scontato, ma l’impegno per evitarlo dovrebbe essere tempestivo, coraggioso e lungimiran­te.

ROOSEVELT E POPPER SONO I PUNTI DI RIFERIMENT­O CUI GUARDARE PER SALVAGUARD­ARE UNA SOCIETà LIBERA

Martin Wolf

The Crisis of Democratic Capitalism

Penguin Press, pagg. 474, $ 30

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FRANCO MATTICCHIO Matticchia­te
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