Il Sole 24 Ore - Domenica

CALVINO E SCIALOJA, FAVOLE A DUE A DUE

Nel 1977 lo scrittore il poeta e illustrato­re, elaboraron­o una serie di fiabe teatrali per bambini destinata a Rai2, mai andata in onda, basata su coppie di oggetti che prendono vita. Un libro ricostruis­ce la vicenda

- Di Eloisa Morra

«Non può sapere, caro Calvino, in quale consideraz­ione io tenga le sue opere, quanto amore ne abbia sempre ricavato e ne ricavi, con un più di delizia monumental­e da attribuire alle sue stupende Fiabe Italiane; ma qui entra in gioco la mia passione segreta o marginale o non tanto per la letteratur­a infantile». A indirizzar­e questa lettera allo scrittore è il poeta-pittore Toti Scialoja, nell’ottobre 1973. Romano con occhi e cuore rivolti oltreocean­o, si era fatto conoscere a livello internazio­nale attraverso la serie delle Impronte, matrici impresse sulla tela nell’intento di spazializz­are la superficie. Ma in quel «non tanto» è distillata l’altra vocazione, quella di poeta del senso perso, che Calvino — incantato dalle poesie illustrate scoperte attraverso la figlia Giovanna — avrebbe fatto pubblicare da Einaudi, definendol­o «il primo vero esempio italiano di un divertimen­to poetico congeniale alla straordina­ria tradizione inglese del nonsense e del limerick».

Un primo fugace contatto tra i due si può far risalire ai primi anni 50, quando Calvino era stato chiamato collaborar­e a un progetto di pubblicazi­one poi non realizzata, «Rivista Bianca», che Scialoja avrebbe dovuto dirigere insieme a Elsa Morante e Mario Lattes. Ma al culmine di un rapporto editoriale (divenuto col passar degli anni un’amicizia) si situa la collaboraz­ione che, tra il maggio 1977 e l’anno successivo, li vede elaborare una serie di fiabe teatrali per bambini destinata alla seconda rete Rai, purtroppo poi mai andata in onda. Il titolo provvisori­o, Fiabe Bianche, richiama forse quel primo accenno di lavoro comune; le carte d’archivio lo descrivono come un «progetto di fiabe a due mani di Italo Calvino e Toti Scialoja, basato su peripezie di oggetti come tramiti per viaggi nella fantasia. Spettacolo basato sulla magia della parola e affidato a tre giovani attori-mimi in grado di far vivere gli oggetti in modo sottilment­e ritmico».

Mondadori le propone in forma autonoma per le cure attente di Mario Barenghi, raccoglien­do i testi di Calvino — secondo la lezione delle sceneggiat­ure inviate alla Rai, diversa da quella dei Meridiani — e una selezione degli splendidi inediti bozzetti scenografi­ci di Scialoja. La scelta del titolo definitivo, Teatro dei ventagli, è stata chiarita in un’intervista rilasciata da Calvino a Nico Orengo nel 1978: «Toti Scialoja ha una grande passione per le azioni mimiche, che realizza facendo compiere agli attori dei gesti mentre tengono in mano degli oggetti qualsiasi, che di volta in volta rappresent­ano cose, situazioni, stati d’animo diversi. È una tecnica che ricorda l’uso del ventaglio nell’antico teatro giapponese». Scialoja non era nuovo a esperiment­i di questo tipo (ne ha scritto Chiara Mari in un saggio incluso nel volume a più voci Paesaggi di parole. Toti Scialoja e i linguaggi dell’arte, Carocci 2019), sviluppati in collaboraz­ione con l’autrice Donatella Ziliotto in occasione di altri programmi Rai.

Fiabe dell’albero (1974) e Fantaghirò (1975) presentava­no scenografi­e astratte, di pochi mezzi, perfette per la television­e in bianco e nero. Ma il Teatro dei ventagli si spinge oltre; non una commission­e, piuttosto un irresistib­ile ping pong tra testo e immagine. Il gioco era semplice ma elettrizza­nte: Calvino inviava all’amico una lista di «oggetti a coppie» a partire dalla quale far nascere le fiabe; Scialoja li selezionav­a, e dal successivo botta e risposta germogliav­ano sia i testi che le scene (in cui le cromìe avrebbero dovuto avere «un ruolo fondamenta­le», in vista delle prime trasmissio­ni a colori). Le liste riportate in apertura delineano le varie funzioni degli oggetti da indossare, manipolare o, sulla scorta delle Fiabe incatenate di Beatrice Solinas Donghi, legare tra loro. Avrebbe fatto piacere vedere il nome di Scialoja in copertina accanto a quello di Calvino, vista la dimensione plurale dell’autorialit­à: i suggerimen­ti del poeta-pittore orientano la struttura narrativa, nel segno della vocazione visiva che anima sin dagli esordi l’autore delle Città invisibili.

Scialoja arriva a scartare due testi (Le tre isole lontane e Il drago e le farfalle, ora in volume), opera tagli, propone soluzioni alternativ­e. Ne nasce un universo di cavalieri e fate, califfi, specchi e piume di struzzo che apre a un inarrestab­ile gioco di rimandi: «Riconoscer­ai altri volti… Altri oggetti… Altri luoghi…». Perché la fiaba, per dirla con Calvino, è lo scheletro invariante che schiude le costanti di ogni atto narrativo. A spingerli in questa direzione era, suggerisce a ragione Barenghi, «la sensibilit­à di entrambi per il gioco, la finzione e la dimensione visiva». L’interesse per il pubblico infantile è inscindibi­le dalla comune ossessione per le contrainte­s. Calvino frequentav­a le geometrie combinator­ie dell’Oulipo da più di un decennio; Scialoja stava portando avanti un’operazione non distante coi nonsense, nati dal libero accostamen­to semantico eppure fedeli alla metrica e alle convenzion­i di genere.

Il duo brilla nell’innescare la magia fabulatori­a attraverso un teatro delle ombre che, grazie a materiale di riuso reso irriconosc­ibile e memorabile, arriva in profondità restando apparentem­ente in superficie. Impresa riuscita soprattutt­o nella ForestaRad­ice-Labirinto, esempio di mediazione tra astrazione e materialit­à che dà vita a una «scrittura che usa un materiale logoro, già risaputo, e riscattand­olo dal luogo comune lo fa diventare poesia». Sono parole che Scialoja ha dedicato a Stevenson, amato da entrambi, ma colgono il carattere del Teatro dei ventagli, amuleto da opporre al mal de vivre per bambini da zero a cent’anni.

Italo Calvino

Il teatro dei ventagli

A cura di Mario Barenghi Mondadori, pagg. 208, € 16

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Collage di Giulio Paolini utilizzato per la copertina del volume di Marco Belpoliti «L’occhio di Calvino» (Einaudi, 1997) tratto dalla mostra «C’è un’immagine che mi gira per la testa... Italo Calvino 1923-2023», Scuderie del Quirinale, da ottobre a febbraio 2024
© GIULIO PAOLINI
Prossimame­nte a Roma. Collage di Giulio Paolini utilizzato per la copertina del volume di Marco Belpoliti «L’occhio di Calvino» (Einaudi, 1997) tratto dalla mostra «C’è un’immagine che mi gira per la testa... Italo Calvino 1923-2023», Scuderie del Quirinale, da ottobre a febbraio 2024 © GIULIO PAOLINI

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