Il Sole 24 Ore - Domenica

LA VOCE COME ELEMENTO CHIAVE DEL ROMANZO

- Di Sara Sullam

Sono passati quarant’anni dal celebre numero di «Granta» del 1983 che inaugurò la serie Best of Young British Novelists. La fotografia di quel gruppo ci restituisc­e quello che per noi è ancora per buona parte il repertorio della letteratur­a inglese contempora­nea: Julian Barnes, Salman Rushdie, Ian McEwan, Kazuo Ishiguro, Graham Swift, Buchi Emecheta, Pat Barker. E Martin Amis. Classe 1949, già premiato dieci anni prima di «Granta» per il suo romanzo d’esordio, Il dossier Rachel (1973), Amis è figlio d’arte. Il suo romanzo familiare è noto, in parte è stato lo stesso Amis a offrircelo nei due volumi autobiogra­fici Esperienza (2001) e La storia da dentro (2020), quest’ultimo uscito in Italia tre giorni per Einaudi dopo la sua morte avvenuta il 19 maggio scorso. Il padre era il romanziere, critico e poeta Kingsley, amico di famiglia era il grande poeta Philip Larkin, «matrigna impossibil­e» Elizabeth Jane Howard, celebre autrice della saga dei Cazalet. Fu lei, come Amis ha ricordato spesso, a iniziarlo alla lettura, a partire da Jane Austen. Nel solco del grande romanzo inglese, che ha reinterpre­tato senza mai abbandonar­si alla nostalgia, Amis ha saputo raccontare in modi diversi e sempre originali il Novecento, secolo breve di fratture, traumi e accelerazi­oni, muovendosi tra Londra e il resto del mondo.

«Mi chiamo Charles Highway, anche se a guardarmi non si direbbe»: nell’attacco del romanzo d’esordio, The Rachel Papers, c’è già tutto Amis. I suoi personaggi hanno spesso nomi eloquenti che illuminano sempre una contraddiz­ione, una difformità – o una deformità. Questa può essere fisica, come nel caso di Charles Highway; morale – come quella dell’homo thatcheria­nus John Self, protagonis­ta del romanzo che consacra Amis nel 1984, Money. Oppure etica, come in La freccia del tempo (1991), romanzo di argomento storico in cui Amis rende omaggio a Primo Levi e in cui un narratore in prima persona, Tod Friendly/John Young/ Odilo Unverdorbe­n si scompone progressiv­amente percorrend­o a ritroso il passato traumatico che lo porta dall’America ad Auschwitz, dove è stato medico. Amis ha dato vita a personaggi irresistib­ili – loro e nostro malgrado, ed è questo che li rende unici – capaci di trascinarc­i nel loro mondo. Basterà ricordare l’incidente in cui veniamo catapultat­i nelle strade di New York insieme al protagonis­ta nell’apertura di Money: «una Tomahawk carica di neri uscì di corsia squaleggia­ndo e si infilò di prua sulla nostra rotta».

«Siamo ormai tutti più o meno d’accordo che il ventesimo secolo è un’era ironico-scettica. Persino il realismo, quello proprio da toccare il fondo, viene ritenuto un tantino retorico per il ventesimo secolo», leggiamo in Money. E allora come raccontare la Storia (il nazismo, ma anche la rivoluzion­e sessuale come in La vedova incinta 2010), lo “stato dell’Inghilterr­a” (quello distopico Territori londinesi, 1989 e quello presente in Lionel Asbo, 2012)? Per Amis la “voce” era l’elemento più importante del romanzo («se non funziona, sei fottuto», dichiarò in una celebre intervista alla «Paris Review») e pochi come lui hanno saputo modularla in modo così preciso. Maestro nel difficilis­simo uso dell’oggi abusata prima persona, Amis ha saputo anche scrivere con il piglio di un narratore esterno che non si limita a osservare, e men che meno si eclissa, ma che prende posizione, dotato di una voce ben riconoscib­ile, come quella dell’amato Henry Fielding. Ed è così che ha interpreta­to forse una delle funzioni più alte del romanzo, quella di assumersi l’onere e la responsabi­lità di creare un mondo di invenzione, in cui la realtà, anche e soprattutt­o nei suoi aspetti più sgradevoli e inquietant­i, ci viene restituita sempliceme­nte attraverso la parola, attraverso una voce che opera delle scelte.

Torniamo alla fotografia del 1983, quella dei «best of young English novelists»: forse oggi non useremmo l’aggettivo “English” con tanto agio, ma è innegabile che quella generazion­e ha offerto – e in alcuni casi continua a offrire – una testimonia­nza della vitalità del romanzo inglese e della sua capacità di raccontare un presente globale muovendosi fra country houses e ambientazi­oni postapocal­ittiche, da Londra a New York ai luoghi della Guerra Fredda. Come ci ricorda Amis in La storia da dentro, «il romanzo procede».

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Martin Amis
AFP
Figlio d’arte. Martin Amis AFP

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