TUTTO CIò CHE INQUINA IL MODO DI PENSARE
Ci immaginiamo liberi ma siamo invece il frutto di una combinazione di scambi, condizionamenti e desideri. Anna Lisa Tota individua un percorso per un’ecologia della mente
Anni fa, lo scrittore Ngũgĩ wa Thiong’o ha narrato il terribile processo messo in atto dai colonizzatori inglesi per cancellare la memoria e il sapere locale, le conoscenze vernacolari e le minime forme di comunicazione generazionale della popolazione sottomessa e sostituirle con quelle degli invasori. Si è trattato di un orrendo processo di sterminio culturale, i cui frutti si vedono ancora oggi ma sono per fortuna accompagnati dalle positive reazioni di riscatto che sono arrivate da molti, e non solo dal grande autore keniota che si è interrogato su come Decolonizzare la mente (Jaca Book).
Anche al di là dello specifico contesto di oppressione coloniale, le riflessioni di Ngũgĩ wa Thiong’o risultano preziose per interrogarsi su quante e quali siano le forme di colonizzazioni della mente che noi tutti, volontariamente o no, subiamo e perpetuiamo. Modelli familiari, aspirazioni sociali indotte, influssi volontari, involontari o inconsci che mettono in funzione comportamenti e sistemi di relazione e di scambio e che funzionano come meccanismi imposti o eterodiretti.
Un argomento, questo, che si potrebbe rendere complicato risalendo ai tipi logici di Sir Bertrand Russell. O alle riflessioni che a partire da quelle pagine ha elaborato Gregory Bateson sulla differenza tra il nome e la cosa. Anna Lisa Tota sceglie invece la strada della divulgazione e parte dalle fondamenta del pensiero occidentale citando Epitteto: «Gli esseri umani si tormentano per opinioni che hanno delle cose, non per le cose». Questa distinzione la guida nella ricerca, ed è utile per introdurci a quello straordinario intreccio di sentimenti che mettiamo in campo quando pensiamo, ragioniamo, conversiamo, dialoghiamo: proprio noi che ci supponiamo individui singoli e unici, liberi e indipendenti, siamo invece il frutto di una combinazione di scambi, condizionamenti, desideri, modelli…
Tutto questo le consente di elaborare una riflessione che procede seguendo la via segnata successivamente da un maestro della sociologia come Maurice Halbwachs quando sostiene che nel momento in cui «pensiamo non siamo mai soli». E non soltanto nei momenti dello scambio dialogico con gli altri, perché in noi vive una sorta di collettività che prende forma anche nella costruzione singolare del nostro pensiero.
Si tratta di una riflessione – e di un libro, Ecologia del pensiero (Einaudi) – nata negli anni della pandemia, alimentatasi di letture vecchie e nuove che hanno accompagnato la solitudine di quei mesi, ma cresciuta soprattutto sul terreno fertile di una etnologia del quotidiano: raccogliendo storie, avventure, avvenimenti di amiche e amici, conoscenti vicini e lontani, e tanti “fatti” significativi che vanno a costruire il sostrato per l’elaborazione di un percorso finalizzato a conoscere di quanti elementi diversi è composto il nostro pensare, in modo da “ripulire” il nostro pensiero da tutte le scorie e le implicazioni che ci condizionano. E procedere verso una concreta ecologia del pensiero.
La situazione di isolamento e di solitudine, che va ben oltre il lockdown e caratterizza il nostro presente, è utile per mettere a punto una sorta di sociologia della soggettività o della individualità in un mondo che spesso esclude ogni movimento collettivo o comunitario. E, nello stesso tempo, fa i conti con il panorama globalizzato in cui siamo immersi, che tende a rappresentare il presente come confuso e imprendibile. Il tutto è aggravato dallo scenario della secolarizzazione, in cui termini come cristianizzazione e ritualizzazione vengono oramai citati solo con l’aggiunta del prefisso de.
I rituali avevano una funzione formativa e pedagogica e, nel momento in cui vengono meno, non resta che inoltrarsi per strade più o meno frequentate alla ricerca di alternative, individuate nella reinvenzione di pratiche tradizionali o nell’elaborazione di nuove procedure cerimoniali, fino all’affidarsi al bricolage soggettivo. Lo sforzo sarebbe quello di convincersi che gli sforzi per costruire una ecologia del mondo iniziano dentro di noi, con l’analisi e la revisione delle nostre idee, mettendo innanzitutto in pratica una sana autoetnografia, che ponga sotto la lente di ingrandimento le relazioni e i contesti della nostra esistenza permettendoci di individuare quelle strade «che, idealmente e praticamente, potrebbero aiutarci a cambiare». Un cambiamento che ci invita anche alla condivisione e alla partecipazione con gli altri in forme e modi ecologicamente più maturi; e innesca un percorso lungo, ma realizzabile con pratiche apparentemente semplici, suggerisce Anna Lisa Tota: sarebbe forse sufficiente «la grazia lieve di un gesto gentile», la cura consapevole dell’altro in forme
“oneste” di relazione, oppure la capacità di riconsegnarci «al mondo della natura» accettando di essere una, e solo una, fra le molteplici specie viventi.
Si sottolineano così i limiti dell’umano riconducendolo nei suoi confini, nel tentativo di ridurre la sua egemonia. Riportando l’umanità alla quotidianità più elementare dell’esistenza, fatta di cose semplici e necessità basilari. Non a caso la parte conclusiva ruota attorno ad alcuni temi importanti, che hanno attraversato il pensiero filosofico soprattutto femminile e antropologico degli ultimi decenni, come quello della forza della vulnerabilità che mette l’accento sulle fragilità che ci accomunano e ci fanno sentire vicini nei limiti e non nella supremazia e nell’esibizione muscolare. Oppure quello della grazia che accompagna le cose semplici della vita e ci permette di vedere nella natura e nell’infinito dell’universo la manifestazione del sacro e non più un territorio da invadere, da possedere e da sfruttare.
E in questa riflessione un ruolo speciale spetta alla poesia, la cui bellezza può essere pedagogica e che può insegnarci molto di più di tanti libri. Le parole conclusive sono affidate a Hölderlin: «Perso nel vasto azzurro, levo spesso lo sguardo all’etere o lo affondo nel sacro mare, ed è come se uno spirito fraterno mi abbracciasse… Essere uno col Tutto: questa è la vita della divinità, questo è il paradiso dell’uomo».
BISOGNA INTERROGARSI SU QUANTE E QUALI SIANO LE FORME DI COLONIZZAZIONE CHE SUBIAMO E PERPETUIAMO
Anna Lisa Tota
Ecologia del pensiero. Conversazioni con una mente inquinata Einaudi, pagg. 260, € 23