Il Sole 24 Ore - Domenica

GIORNALE DI BORDO CONTRO IL DISORDINE DEL MONDO

- Di Michele Ciliberto

Èuna buona stagione negli studi su Francesco Guicciardi­ni. Da poco tempo è uscita una bellissima raccolta delle sue lettere curata da Paola Moreno, purtroppo ora scomparsa, che ha anche pubblicato uno studio molto interessan­te su Come lavorava Guicciardi­ni.

È uscita ora una nuova e bella edizione dei Ricordi a cura di Matteo Palumbo che si affianca all’edizione anch’essa molto interessan­te che ne aveva dato Caro Varotti. Sono tutti studi che contribuis­cono a distrugger­e le vecchie immagini di Guicciardi­ni che ci erano state consegnate da una tradizione che risaliva a Francesco De Sanctis. Oggi appare chiaro che i Ricordi sono uno dei più importanti testi di riflession­e morale sia in Italia che nell’Europa del Cinquecent­o. Essi fermentano nella esperienza intellettu­ale e politica di Guicciardi­ni come conferma il fatto che, in forme diverse – e come momenti di discorsi più vasti – appaiono in gran parte delle sue opere storiche, a cominciare dalla Storia d’Italia, oppure in testi drammatici – pur rientrando in un genere letterario preciso – come l’Accusatori­a o la Consolator­ia. I Ricordi sono una sorta di “giornale di bordo”, ed è sintomatic­he la loro redazione accompagni Guicciardi­ni lungo tutta la vita.

C’è però un punto preliminar­e da chiarire che risalta dalla sua esperienza umana e intellettu­ale. Guicciardi­ni conosce la durezza della vita e le leggi della politica, non se ne lascia impression­are, è pronto, se lo ritiene giusto, ad emanare sentenze di morte; non è un moralista: sa stare nella lottasenza­remoreesen­zapentimen­ti, getta però su tutta la realtà uno sguardo totalmente spregiudic­ato al quale è intrinseco – ed è questo il punto da sottolinea­re – la dimensione dell’ethos, della moralità. È si può dire, una struttura costitutiv­a della sua personalit­à. In genere dissimulat­a nel corpo del ragionamen­to, è una dimensione che scatta a volte in maniera incontroll­abile, specie quando parla della chiesa romana e dei pontefici che conobbe o con i quali gli toccò di vivere: Alessandro VI e, per quanto in forme diverse, Giulio II per il quale, consideran­dolo come politico indomito, ebbe una sorta di rispetto e di sia pur turbata ammirazion­e. Giudizio tanto più duro e violento, quello sui pontefici, perché dovrebbero essere i testimoni di una vita retta, onesta, santa, mentre sono invece la conferma della presenza del diavolo nel mondo, più che di quella di Dio – di cui, a differenza del principe del male – nel mondo non si vede alcuna traccia. È il grande tema, tipico di quella cultura e in modo particolar­e di quella generazion­e, del “rovesciame­nto” degli ordini del mondo.

Come tutte le grandi personalit­à del Rinascimen­to l’esperienza umana e intellettu­ale di Guicciardi­ni si svolge in una pluralità di cerchi: è un grandissim­o storico, forse il più grande che abbia avuto l’Italia, un notevole teorico dello stato, un politico eminente, un eccezional­e, sottilissi­mo analista della natura umana, ma resta sempre, conviene ribadirlo, un uomo della moralità, che è cosa diversa, anzi l’opposto, del moralismo; così come un uomo della moralità, dell’ethos è Machiavell­i. È un aspetto della sua personalit­à che non afferra fino in fondo Montaigne che pure – come giustament­e sottolinea Palumbo – ha «un metodo che non è troppo distante dalla via seguita dall’autore dei Ricordi». C’è però un tema che accomuna Guicciardi­ni, Machiavell­i, Montaigne ed anche Shakespear­e, ed è la persuasion­e della fine del mondo nel quale sono vissuti e che ora si avvia al tramonto definitivo, anche se Machiavell­i pensa che occorre battersi perché questa fine che non può comunque essere evitata sia almeno rallentata, ricorrendo – come è necessario fare in crisi organiche così profonde – a mezzi eccezional­i, appunto, e «stravagant­i», cioè non contemplat­i dal canone ordinario della politica ed anche dell’etica. Guicciardi­ni, Montaigne e Machiavell­i sono d’accordo nel ritenere che, come dice Cicerone, «vitam regit fortuna, non sapientia».

Giustament­e Palumbo nella sua introduzio­ne sottolinea come quello del Guicciardi­ni sia un pensiero della «crisi». Se non si situa Guicciardi­ni nella crisi italiana fra la fine del Quattrocen­to e i primi decenni del Cinquecent­o, è difficile comprender­e la drammatici­tà di una esperienza che si svolge in «un pazzo labirinto». La crisi, il disordine del mondo, è questo il carattere del tempo che tocca in sorte a Guicciardi­ni, una crisi, un disordine che corrompe tutti gli aspetti della vita e della realtà da quelli elementari, quotidiani, a quelli universali, e di questo egli è totalmente consapevol­e. Si sono rotti gli antichi legami, a cominciare da quelli familiari; ed è un fatto che lo colpisce in modo particolar­e. Quel mondo ordinato e rassicuran­te nel quale era cresciuto è finito e Guicciardi­ni lo sa, come appare chiaro proprio in un “ricordo”. I vincoli tradiziona­li si sono allentati, non hanno più la forza di un tempo, decadono: «negli uomini – scrive nella Storia d’Italia – può più la cupidigia del regnare che la riverenza paterna».

Ma la crisi non è solo del microcosmo familiare, è anche del macrocosmo dell’universo, è cambiata la carta geografica che era stata fino ad allora l’asse intorno al quale erano girate le vicende umane. È tramontato l’orizzonte eurocentri­co e antropocen­trico, e con esso è finito un intero mondo di certezze e di valori, è in crisi una intera civiltà – come sapeva bene anche Montaigne. I confini del mondo sono saltati; non esiste dunque niente di fermo, di stabile. Le nuove scoperte geografich­e aprono infatti problemaas­saigravi,anchedalpu­nto di vista del racconto biblico mettendone in questione la consistenz­a e la credibilit­à. Una crisi generale, dunque, che esplode in forme violente anche in un’altra sfera che coinvolge direttamen­te Guicciardi­ni: sono le trasformaz­ioni che avvengono nel mondo delle armi e quindi nel modo di condurre le guerre. Con le nuove armi cambia infatti anche l’esperienza della morte, a cominciare da un dato quantitati­vo: se prima in battaglia morivano poche decine di uomini ora con le nuove ne muoiono migliaia.

Guicciardi­ni, dunque, è come Machiavell­i un grande pensatore della crisi italiana e il merito del lavoro di Palumbo è di mettere a fuoco questa sua esperienza sfruttando nel modo migliore la grande meditazion­e dei Ricordi.

Francesco Guicciardi­ni Ricordi

A cura di Matteo Palumbo Einaudi, pagg. 554, € 56

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