CARO ARTHUR, TI STIMO MA SBAGLI
Sossio Giametta commenta e traduce due testi di storia della filosofia dell’intellettuale tedesco riconoscendone la grandezza ma contraddicendolo soprattutto su un nome: Cartesio
Sono un ammiratore di Schopenhauer, ho tradotto la maggior parte delle sue opere, non tutte, come avrei voluto e potuto fare, a causa dell’esosità dell’editore; vanto la filosofia schopenhaueriana come quella che, con la scoperta dell’irrazionale, ha impresso una svolta irreversibile alla storia della filosofia occidentale e come quella che ha dato, come nessun’altra, l’Erklärung der Welt, la decifrazione del mondo, massima aspirazione della filosofia, a detta dello stesso autore; considero il suo capolavoro, Il mondo come volontà e rappresentazione, il libro di filosofia più avvincente perché, grazie al triplice genio di filosofo, moralista e artista dell’autore, rappresenta il romanzo tragico dell’umanità, che, come tale, dà, nonostante il suo dichiarato e «onesto» (Nietzsche) ateismo, un vero brivido religioso.
Schopenhauer ha inoltre il grande merito di aver chiamato il male con il suo nome, senza tentare di edulcorarlo o giustificarlo (neanche, per la verità, di spiegarlo, come invece ha fatto Spinoza), e ne ha indicato il peso insopportabile nella vita degli esseri viventi, uomini e animali: un male che sfida qualunque ottimismo, da lui definito «scellerato», perché deresponsabilizza e disarma gli uomini nella lotta della vita. Dico queste cose per eliminare ogni sospetto di antipatia o personalismi nelle critiche che ritengo di dover muovere sia a codesto suo saggio sia all’uomo.
E cominciamo dall’inizio. Non si può sostenere veramente, come egli sostiene, e molti altri con lui, specie naturalmente i francesi, che Cartesio sia il padre della filosofia moderna. I padri della filosofia moderna sono gli eroici filosofi rinascimentali della natura italiani a lui precedenti: soprattutto Telesio, Campanella, Pomponazzi, Cardano, Bruno, Vanini, come è riconosciuto dallo stesso D’Alembert nella prefazione all’Enciclopedia. Sono essi che hanno dato la svolta principale alla storia della fi losofi a e alla storia tout court contrapponendosi alla religione e alla chiesa in crisi, a favore della laicità e lottando, a rischio del carcere e del rogo, per la sostituzione della teologia con la filosofia e di Dio con la natura. Sono stati loro a imprimere, in tal modo, il carattere fondamentale all’età moderna, che la stacca e distingue dal Medioevo e rispetto al quale personaggi ed eventi degli ultimi secoli vanno ripensati per assegnar loro valore e significato.
Ma certamente, anche se non è l’iniziatore della filosofia moderna, Cartesio è pur sempre un iniziatore: è l’iniziatore del razionalismo, che insieme e in contrasto con l’empirismo, costituisce una delle due correnti più importanti della fi losofi a moderna. Come dà egli inizio alla corrente del razionalismo? Con il suo dubbio metodico, il dubbio, in particolare, sull’esistenza del mondo esterno. Infatti, dice, e questo è ben riportato da Schopenhauer in questo suo scritto, che il mondo che noi vediamo e consideriamo è la rappresentazione che ne abbiamo, cioè l’immagine di esso che si forma nella nostra mente in cui, secondo lui, essa rimane chiusa senza poter sconfi nare nella realtà delle cose indipendente da noi e dalle nostre rappresentazioni.
Ma anche qui noi dobbiamo contrapporci. Prima ancora che Cartesio ponesse il problema e formulasse la domanda, la filosofia italiana, nella persona di Giordano Bruno, aveva già data, indomandata, la risposta, prevenendo dunque Cartesio e anticipando Spinoza e Malebranche, cosa che purtroppo Schopenhauer, pur esaltatore di Bruno, non prende in considerazione.
Aniello Montano, in Le radici presocratiche del pensiero di Giordano Bruno (Marigliano, 2013), afferma: «In tutto il dialogo De la causa, principio e uno, Bruno punta a dimostrare che i doi geni di sustanza, materiale e formale, sono talmente connessi tra loro da essere inseparabili e indistinguibili. Non possono esistere l’uno senza l’altro. Di modo che, pur essendo due, sono in rapporto di intrinseca e inscindibile relazione» (pag. 92), come, per usare un paragone dello stesso Schopenhauer, l’idrogeno e l’ossigeno nell’acqua.
A pagina 68 Montano aveva già detto, sempre riferendo da Bruno: «Filosofo è colui che postula una perfetta corrispondenza tra leggi della realtà e leggi del pensiero». E in nota rileva che, nella Storia della letteratura italiana, il De Sanctis indica come «concetto capitalissimo» la tesi bruniana secondo cui «le serie del mondo intellettuale corrispondono alle serie del mondo naturale, perché uno è il principio dello spirito e della natura, uno è il pensiero e l’essere. Perciò pensare è fi gurare al di dentro quello che la natura rappresenta al di fuori, copiare in sé la scrittura della natura». Nell’Ethica ordine geometrico demonstrata, Spinoza darà una grandiosa e precisa sistemazione filosofi ca a questa unità-duplicità come identità sostanziale dei due attributi dell’estensione e del pensiero.
Ma torniamo a Cartesio ed esprimiamo a nostra volta un dubbio: esiste davvero tra res cogitans e res extensa, come egli pretende, una chiusura stagna? Essa esiste certamente nel suo modo di concepirla, esiste perché Schopenhauer egli la vuole vedere così, ma non esiste nella realtà. Il mondo, cioè, non è solo la nostra rappresentazione, come afferma Cartesio e come da parte sua ribadisce Schopenhauer «Il mondo è la mia rappresentazione» è l’incipit de Il Mondo come volontà e rappresentazione); non è, in particolare, una rappresentazione dietro la quale non c’è niente, non appunto un mondo reale indipendente da noi, come noi solo per illusione crediamo che ci sia. Schopenhauer dà questo per scontato, per cui cerca il mondo reale da un’altra parte, cioè lo identifi ca con quella che chiama la «volontà di vivere»(Wille zum Leben), attingendo il termine «volontà», che sarà molto discusso, in particolare da Nietzsche, ed è effettivamente molto discutibile, dal vituperato Schelling (che lo aveva, a sua volta, rilevato da Leibniz), dalla cui filosofia positiva, come l’autore la chiamò, venne propriamente a lui questo concetto e il termine di «volontà». Ma non è detto che la volontà di vivere sia il solo riconoscimento dell’esistenza di un mondo reale, da cui la stessa rappresentazione proviene.