ESOTICHE MERAVIGLIE ALLA CORTE GONZAGA
Tra fine ’500 e inizio ’600 grandi spedizioni cambiarono il mondo, la cartografia, la cultura: lo testimoniano anche gli archivi e le collezioni dei duchi di Mantova
La scoperta, la progressiva esplorazione e la conquista del Nuovo Mondo americano inaugurarono una vera e propria rivoluzione geografica, che comportò l’abbandono dell’antico modello tolemaico e un completo ripensamento dello spazio terrestre. Uno spazio che fu necessario ridefinire pezzo per pezzo, aggiungendo e correggendo via via che nuove conoscenze accompagnavano quel dilatarsi del mondo, le descrizioni delle coste e poi dei continenti si accumulavano, le testimonianze venivano vagliate, i calcoli di latitudine e longitudine diventavano più precisi. Alla rivoluzione geografica si accompagnò quindi una rivoluzione cartografica, con tutti i problemi geometrici che comportava la rappresentazione in piano di una sfera. E infatti il Cinquecento vide la comparsa di grandi atlanti come la Cosmographia universalis di Sebastian Münster (1544), il Theatrum orbis terrarum di Abramo Ortelio (1570), l’Atlas di Gerardo Mercatore (1585-95), tutti più volte ristampati, accresciuti e tradotti in varie lingue. Mentre le Americhe mettevano in discussione l’immagine stessa del mondo, i viaggi portoghesi verso l’India e la Cina consentivano di acquisire nuove conoscenze sull’Africa e sull’Asia meridionale, di apprendere l’uso di venti ora stabili ora ciclici, facendo esperienza di alisei e monsoni, di mettere a punto nuove rotte, di creare nuovi tipi di navi adatte a lunghi viaggi, di dotarle di complesse velature, di armarle di cannoni per debellare le flotte arabe, di imparare a superare le calme equatoriali e a doppiare il capo di Buona Speranza o capo Horn alla confluenza di mari tempestosi.
Le spedizioni di Cristoforo Colombo nel 1492 e di Vasco da Gama nel 1498 furono dunque seguite rapidamente da molte altre sugli sconfinati Oceani della terra. I primi e avventurosi esploratori aprirono la strada a soldatacci e avventurieri in cerca di ricchezze terrene, ma anche a missionari desiderosi di indicare la via delle ricchezze celesti alla miriade di popoli che non avevano mai conosciuto il cristianesimo. E poi i mercanti, capaci di instaurare via via flussi regolari di commercio, sbaragliando la concorrenza locale e impadronendosi dei traffici, non senza però avviare una sempre più accentuata rivalità tra le potenze coloniali europee che sarebbe infine approdata a guerre sanguinose.
Non stupisce dunque che sin dall’inizio le notizie su viaggi e scoperte sollevassero ovunque grande interesse, stupore, meraviglia, anche se non di rado affidate a testi confusi e inaffidabili. Un profluvio di libri e libelli di memorie, cronache, lettere, relazioni, diarii, descrizioni di quegli spazi immensi e sconosciuti invase rapidamente l’Europa, dove non a caso ebbero grande successo i tre volumi Delle navigationi et viaggi di Giambattista Ramusio apparsi a Venezia fra il 1550 e il 1559. Di esse si nutrirono geografi, scienziati, medici, letterati, semplici curiosi, ma anche filosofi come Michel de Montaigne, che ne trasse spunti decisivi per mettere in luce il relativismo culturale e morale che scaturiva dalle sorprendenti notizie su usi e costumi dei luoghi remoti di cui quelle pagine riferivano, mentre i teologi si interrogavano con ansia sulle origini di vaste popolazioni del tutto ignote alla sacra Scrittura, escluse dalla salvezza cristiana e tali da mettere in discussione la monogenesi adamitica.
Più o meno credibili e talora fantasiosi, quei resoconti, accompagnarono l’arrivo in Europa dell’argento destinato alle casse dei re spagnoli, ma anche di alimenti, di animali, di piante sconosciute, che avrebbero avuto grande influenza sulla vita dell’Europa dei secoli seguenti, come il pomodoro, la patata, il mais. E poi oggetti strani e meravigliosi destinati a essere esposti nei palazzi principeschi in apposite Wunderkammer sempre più stipate da esotiche stranezze o rarità della natura: coccodrilli, ghepardi e orsi polari imbalsamati, uova e piume di struzzo (queste ultime ricercatissime per adornarne i cappelli), zanne di tricheco, corni di rinoceronte, carapaci di enormi tartarughe marine, pietre preziose, avori, conchiglie, perle e coralli di mari lontani, pappagalli, canarini, scimmiette, strani pesci oceanici, chele gigantesche, antichi fossili, sostanze curative (o presunte tali), lunghi denti attorcigliati di narvalo attribuiti al mitiunicorno e via elencando. Uno sguardo su vecchie e nuove «meraviglie del mondo», insomma, talora animato da mera curiosità, gusto di stupire o desiderio di ostentazione, ma anche da interessi scientifici.
Spesso promosso da corti principesche (celebre la Wunderkammer dell’imperatore Rodolfo II d’Asburgo a Praga), questo gusto del nuovo, dell’ignoto, del meraviglioso si sviluppò tra Cinque e Seicento anche nella Mantova dei Gonzaga, dove archivi e biblioteche attestano l’interesse con cui si guardò ai viaggi transoceanici e alle nuove scoperte geografiche e cartografiche. Gli inventari ducali attestano la presenza di oggetti provenienti dall’Asia e dall’Africa, come porcellane cinesi, turbanti, armi «turchesche», manufatti lavorati «alla morescha». Già nella prima metà del Cinquecento il duca Federico II creò all’interno del palazzo uno studiolo in cui erano custoditi oggetti rari e manufatti preziosi, promuovendo una collezione di naturalia e artificialia poi incrementata dai suoi successori e magnificata nel 1600 da un visitatore, colpito dai loro splendidi palazzi, «pieni di ricchezza e d’asiatica opulenza». Dall’America si fece venire anche un nano per intrattenere la corte.
GLI INVENTARI DUCALI ATTESTANO LA PRESENZA DI PORCELLANE CINESI, TURBANTI, ARMI «TURCHESCHE»
Andrea Canova e Daniela Sogliani (a cura di) I Gonzaga tra Oriente e Occidente. Viaggi, scoperte geografiche e meraviglie esotiche Edizioni di Storia e LetteraturaPalazzo Te, pagg. 176, € 24