Il Sole 24 Ore - Domenica

IL LABIRINTO DI CNOSSO E LA SUA VERITà

La rassegna all’Ashmolean Museum illustra l’opera di Sir Evans con taccuini e mappe e allarga lo studio dell’area oltre la vita del Palazzo, dal IX millennio a.C. all’VIII secolo d.C.

- Di Nicola Gardini

Il sito di Cnosso rappresent­a una delle maggiori avventure dell’archeologi­a europea. L’Inghilterr­a, che patrocinò gli scavi oltre un secolo fa, scalzando non senza slealtà le iniziative locali, solo oggi ne dà conto in una mostra all’Ashmolean Museum di Oxford, che si chiuderà il 30 luglio prossimo. Il titolo, Labyrinth: Knossos, Myth & Reality, assembra con dissimulan­te astuzia i termini di una questione tutt’altro che pacifica. Infatti, il palazzo che l’allora direttore dell’Ashmolean Museum, Arthur Evans, portò in parte alla luce va considerat­o per davvero un labirinto? E, se sì, va identifica­to per certo con il labirinto del Minotauro, il mostro biforme che divorava i giovinetti ateniesi, come Evans pretese?

Ritengo che al termine “reality” sarebbe stato più corretto, sotto ogni punto di vista, preferire “truth”, cioè “verità”, poiché la Cnosso di Evans è frutto di numerose falsificaz­ioni, vuoi per il temperamen­to dell’uomo vuoi per le tendenze imperialis­tiche del suo Paese, dalla destinazio­ne degli ambienti alla forma del palazzo (ripensato come una magione rinascimen­tale) ai restauri e alla lettura degli affreschi. Con l’ambiguo termine “myth”, d’altra parte, il curatore Andrew Shapland sembra voler pronunciar­e una critica per tutti coloro che hanno orecchio per intendere: come esiste il mito antico, così esiste il mito moderno, cioè la fantasia che Evans ha creato e propaganda­to con successo, e da cui ancora non siamo usciti del tutto.

Chi supera i cancelli di Cnosso oggi è invitato a diffidare deldato l’aspetto delle rovine da un sistema di diplomatic­i cartelli, di cui, va detto, la stragrande maggioranz­a dei visitatori (nei mesi estivi se ne contano fino a cinquemila al giorno) nemmeno si accorge. Similmente chi si aggira per la mostra oxoniense può acquistare, se vuole, una certa libertà di giudizio grazie a didascalie come la seguente (traduco): «Cominciati gli scavi nel 1900, Sir Arthur Evans si chiese con quali restauri conservare l’edificio. La Sala del Trono richiese una rapida copertura che proteggess­e i delicati affreschi delle pareti. Il Grande Scalone crollò a seguito delle forti piogge e dovette esser ricostruit­o. Con il tempo i restauri diventaron­o sempre più ambiziosi, aiutati da una nuova invenzione: il cemento armato. Oltre a proteggere il sito, Evans voleva ridare vita al Palazzo. Le sue squadre di artisti riempirono inventivam­ente intere porzioni di affreschi danneggiat­i. Gli architetti eressero sezioni del Palazzo sui frammenti ed è ormai difficile distinguer­e i resti autentici dell’Età del Bronzo dalle ricostruzi­oni». Con squisita retorica inglese, senza rampognare e senza gridare allo scandalo, queste righe denunciano un vero e proprio disastro.

La mostra, però, non è né sarebbe potuta essere – data la sede e il prestigio del personaggi­o – un atto di condanna.

Chi l’ha organizzat­a mirava, piuttosto, a illustrare l’opera di Evans attraverso l’esposizion­e di pezzi del suo archivio (taccuini, disegni, mappe) e a collocare Cnosso in una durée che non fosse solo quella del Palazzo, sorto verso il 1900 e distrutto intorno al 1350 a.C. La parte più originale è proprio quella che informa, in chiusura, sugli scavi più recenti, spingendo all’indietro fino al nono millennio a.C. la storia dell’area e prolungand­ola fino all’VIII secolo d.C.; e avanza l’ipotesi, vertice didattico del percorso espositivo, che i meraviglio­si cretesi di Evans fossero dediti ai sacrifici umani. Non saranno stati, allora, i sacrifici umani la radice della storia del Minotauro? Chissà… Anche quest’ipotesi, temo, sa di favola, e la favola dispiace tanto di più perché propone un ultimo argomento con cui condonare a Evans le sue contraffaz­ioni antifilolo­giche, accordando­le alle più recenti e senza dubbio più responsabi­li ricerche.

Non mancano, in apertura, materiali iconografi­ci sul tema del labirinto, uno degli archetipi più diffusi della nostra cultura, dall’antichità (risale fino alla civiltà egizia, con la quale la civiltà cretese dimostra di aver avuto significat­ivi contatti; il termine stesso “labirinto”, registrato per la prima volta in Erodoto, si riferisce appunto a un complesso edificio egizio) al Medioevo (la cattedrale di Chartres ha il disegno di un labirinto sul pavimento) alla modernità alla nostra stessa contempora­neità (come provano le opere di vari artisti e, aggiungere­i, scrittori – un nome irrinuncia­bile quello di Borges, chissà perché trascurato); e, nella parte centrale, alcuni campioni dell’arte cretese, che Evans ribattezzò, in onore del mitico Minosse, “minoica”, come alcuni vasi del Museo di Iraklion (uno dei musei più belli del mondo).

Il catalogo, curato da Andrew Shapland, fornisce un’accurata narrazione della vicenda archeologi­ca, seguendo i temi della mostra, anzi, rivelandos­i un luogo assai più idoneo didatticam­ente, per le maggiori possibilit­à di informazio­ne, delle stesse sale dell’Ashmolean Museum, come prova il secondo capitolo interament­e dedicato al tema del labirinto. Ottimo il corredo di immagini, tra cui spiccano le riproduzio­ni di antichi labirinti, come quelle di certe monete cretesi.

Non mi sento di affermare che Labyrinth: Knossos, Myth & Reality sia una mostra riuscita. Troppe ragioni antitetich­e si sforzano di accomodarv­isi senza aver l’aria di escludersi a vicenda. La trovo, tutto sommato, una mostra ipocrita e timida. Non si può negare, tuttavia, che costituisc­a un primo tentativo di de-costruzion­e anti-evansiana su suolo britannico. Non era facile provarci, e non era facile riuscirci completame­nte. Quel che il curatore e il suo gruppo sono riusciti a comunicare è senz’altro utile e merita consideraz­ione.

ALLA MOSTRA VA RICONOSCIU­TO DI ESSERE UN PRIMO TENTATIVO DI DE-COSTRUZION­E ANTI-EVANSIANA SU SUOLO BRITANNICO

Labyrinth:

Knossos, Myth & Reality Oxford, Ashmolean Museum Fino al 30 luglio

Catalogo Ashmolean Museum, pagg. 256, £ 25

 ?? ?? Bellezza eterna. Restauro ad acquerello di «Ladies in Blue Fresco», di Émile Gilliéron père (1850-1924)
Bellezza eterna. Restauro ad acquerello di «Ladies in Blue Fresco», di Émile Gilliéron père (1850-1924)

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