PER SIDIVAL FILA IL RIUSO DIVENTA RISCATTO DELL’ARTE
Se non ne avessi avuto lesperienza diretta, sarei stato il primo a bollare la mostra di un artista contemporaneo in Biblioteca Vaticana come l’adesione a una (discutibilissima) moda, una provocazione dalla carica già scaduta da tempo o l’estemporaneo tentativo di uscire da una sorta di saturazione classicistico-antiquaria. La parodia, pedestre e snob, del più lirico Mallarmé: «La chair est triste, hélas! Et j’ai lu tous les livres».
Giunti però alla quarta esperienza – dopo quelle con Pietro Ruffo, Maria Lai e Irma Boom, è ora la volta di Sidival Fila – ritengo che si possa affermare con onestà intellettuale che non c’è nulla di radical-chic o di velleitario in questa formula, ma anzi un’intuizione capace di reggere il peso dell’operazione e di schiudere scenari avventurosi quanto inattesi. Il motivo risiede nel ruolo che un artista, ed esso solo, ha per l’autocoscienza di una istituzione come la Vaticana. Egli è, da un lato, esponente e insieme interlocutore del mondo contemporaneo, ne possiede il linguaggio e ne indaga pensieri e movimenti, standovi saldamente immerso dentro. Poi, l’artista è quasi sempre estraneo al nostro patrimonio e all’atteggiamento scientifico ed erudito col quale lo si indaga. È un corpo immerso in un bagno a lui fino ad allora ignoto, fatto di collezioni secolari e di un corpo scientifico interno all’istituzione dal quale provengono i tre curatori.
Una volta a contatto con questo mondo, l’artista inizia a individuare secondo la propria sensibilità e le proprie riflessioni, e ad additare ai curatori, oggetti, temi e prospettive di lettura, che impone alla loro attenzione e che li “costringe” a studiare, in modo da approfondire i pezzi selezionati e da verificare la tenuta delle sue intuizioni anche sul versante scientifico e storico.
Sidival Fila consacra una parte della sua produzione alla riflessione sul trattamento del frammento, dello scarto, di quello che sopravvive del passato. Recupera frammenti di ricami e tessuti antichi, reinserendoli su un fondo perlopiù neutro, che non ne ricostituisce il contesto di origine né gli garantisce un nuovo impiego, ché la categoria che lo interessa maggiormente è quella del “riscatto” e non del “riuso”. La convinzione è che l’oggetto, come anche la persona, abbia valore in sé, a prescindere dalla sua origine, ma anche dai risultati che può portare o dagli impieghi ai quali lo si può destinare. Una dicotomia, quella tra “riuso” e “riscatto”, che, consegnata ai curatori, si è rivelata una pista di indagine dai risultati sorprendenti e che la mostra illustra con manufatti che vanno dal III secolo d.C. al secondo Ottocento, costituiti di marmo, metallo, legno, pergamena o carta, e un arco spaziale e storico che va dalla Cina Manciù ai primi secoli del monachesimo, dal mondo mediorientale a quello europeo, dalla cultura ebraico-talmudica a quella italo-greca, con una speciale attenzione alla cura libraria e al restauro tra XVI e XVIII secolo.
Ne emerge che quella del “riuso” è stata per secoli una costante antropologica, passibile delle più diverse declinazioni. Sono visibili casi di riuso fraudolento – volumi reintegrati in maniera da coprire gli ammanchi che ne avrebbero abbassato il prezzo di mercato – o di riuso d’emergenza, come le monete siracusane ri-battute per avere denaro liquido a disposizione o uno dei ducati coniati in fretta sotto la guida di Benvenuto Cellini per liberare Clemente VII dai Lanzichenecchi. E poi casi di riuso artistico-decorativo, come i rotoli magici etiopici che Sandro Angelini aveva trasformato in installazione site specific per la propria residenza, o alcuni aurei romani riadattati a pendenti. Diffusi e molteplici i casi di riuso di fogli, manoscritti o a stampa, come elementi costitutivi di legature di nuovi libri: si possono ammirare un Digesto del XIII secolo ridotto a striscioline per rafforzare i fascicoli di un altro volume, un rarissimo Talmud di Gerusalemme in brachette di ancoraggio, o un intero trattato di geomantica in gharshūnī riadattato a piatto di un manoscritto persiano. E poi codici cinesi riemersi da lacche vietnamite, fogli in arabo ritagliati per ricavare imbottiture ottomane e monete trasformate in medagliette devozionali o spade della salute cinesi.
Si sarebbe tentati di stigmatizzare un simile atteggiamento, ma dalla mostra emerge come questo abbia sì costituito il sacrificio di un’opera in favore di un’altra, ma abbia anche consentito ad alcune di esse di sopravvivere fino a noi. Ne abbia costituito una specie di “riscatto”. (RE)VERSVS. Riuso e riscatto nel patrimonio della Biblioteca Vaticana e nell’arte di Sidival Fila
Roma, Biblioteca Vaticana
Fino al 15 luglio
Il nostro collaboratore Giacomo Cardinali è uno dei tre curatori della mostra (con Simona De Crescenzo e Delio Proverbio). Gli abbiamo chiesto di raccontare le ragioni dell’esposizione