VAMOS AGLI 80 OH-OH-OH-OH-OH
Nel 1983 i Righeira fecero uscire la canzone che divenne il simbolo di un’epoca edonista e di disimpegno politico. Ma quel brano, per noi ora nostalgico, con l’elettronica apriva le porte al futuro. E la musica di oggi lo fa?
La fascinazione che ogni decennio immancabilmente nutre per quelli precedenti sembra essersi trasformata, nei confronti degli anni 80, in una vera ossessione. La nostalgia per la decade che ci ha regalato Gianni De Michelis, gli Spandau Ballet e i sintetizzatori digitali è in circolo da un po’. Stranger things, uno degli esempi più limpidi di recupero eighties dell’industria dell’intrattenimento contemporaneo, è stata messa in onda per la prima volta nel 2016, ma già da prima a Hollywood era partita la moda del reboot, da Indiana Jones a Tron. Per la musica il fenomeno è ancora più evidente, ed è ormai normale la presenza dei divi di quel decennio nelle classifiche.
L’Italia non si sottrae e arriva anche una mostra a celebrare i “miti, i simboli, le mode, i costumi” degli anni 80, uno dei decenni «più esuberanti del secolo scorso» (Ritorno agli Ottanta – Mitologia moderna, fino al 16 luglio al Palazzo Mediceo di Seravezza). Sul fronte dei miti musicali si segnala invece la fresca uscita di Oh, oh, oh, oh, oh. I Righeira, la playa e l’estate 1983 di Fabio De Luca. De Luca – giornalista, dj e già autore una dozzina di anni fa dell’ottimo Discoinferno. Storia del ballo in Italia (scritto con Fabio Antonelli, I Libri di Isbn/Guidemoizzi, 2006) – ripercorre gli 80 italiani a partire da una delle canzoni che meglio ne sintetizzano lo spirito, ovvero Vamos a la playa. Dalle pagine del libro il tormentone dei Righeira emerge davvero come una specie di canzone-mondo, uno di quei (rari) brani epocali in grado di coagulare in tre minuti e mezzo mode, idee e suoni nuovi.
Come nota De Luca in Italia il 1983 – della cui estate il brano dei Righeira è il dominatore sonoro indiscusso – è il «primo “vero” anno degli 80, sufficientemente lontano dal campo gravitazionale del ’77, lontanissimo dal ’68 ma al tempo stesso non ancora del tutto entrato nella parte che verrà richiesta agli anni dal 1984 in poi», con la loro «boria sbruffona da nouveax riches». Perché, sì, gli 80 sono nel comune immaginario un decennio più decennio degli altri, con un suo carattere più chiaramente riconoscibile persino di quello dei “favolosi anni 60” o degli “anni di piombo” dei 70 (i 90 invece non sembrano avere sviluppato – ancora? – un’immagine univoca). Sono gli anni dell’edonismo, del trionfo del corpo, della crisi del politico. Della spinta verso il futuro e della nostalgia verso il passato.
E cosa meglio di un pezzo pop sgargiante, avanguardistico e sintetico ma che ammicca agli anni 60 («Cuando calienta el sol»…), disimpegnato ma di sapore post-apocalittico (ritornello a parte, Vamos a la playa è di fatto ambientato in un dopobomba) può raccontarli e allo stesso tempo rivelarne tutte le contraddizioni e le complessità? In effetti gli anni 80 sono stati molte cose prima di essere ricondotti a una formula condivisa, e lo stesso vale per la loro musica. Esiste oggi nell’immaginario un “suono anni Ottanta”, che coincide in gran parte con quello dei Righeira, ma i fermenti creativi di quel decennio erano molti e molto diversificati. Per dire: solo in Italia, nel 1984, escono tanto Creuza de mä di Fabrizio De André quanto Ortodossia dei CCCP…
La stessa canzone dei Righeira, prima dell’incontro con i suoi produttori, i Fratelli La Bionda, era un cupo brano new wave più teutonico che balneare. E tuttavia, tra recuperi nostalgici e ritorni, è quel suono a essere diventato parte integrante del nostro paesaggio quotidiano. Il meccanismo di rotazione radiofonica privilegia i brani del passato e Vamos a la playa continua ad andare alla grande. Quegli stessi suoni – la cassa profonda della drum machine Roland 808, il basso gommoso, il rullante ultracompresso alla Phil Collins, le sequenze di sintetizzatori sognanti – popolano le canzoni delle star di Spotify, da Harry Styles a Dua Lipa a The Weeknd. Suonano malinconici? In buona parte sì, proprio come ci appare oggi Vamos a la playa. Ci è invece difficile ricostruire come doveva suonare nel 1983, quando synth e batteria elettronica sembravano aprire uno squarcio nel futuro della musica. Proprio qui risiede, probabilmente, il fascino che quegli anni 80 musicali continuano a esercitare sul nostro contemporaneo: nella loro ironica, distaccata, postmoderna – ma sempre manifesta – ricerca del futuro.
Soprattutto perché nei decenni successivi, e fino a oggi, quella ricerca si è andata affievolendo in tutta la cultura pop. Dopo gli anni 80, insomma, il nuovo è stato meno nuovo. Da un certo momento in poi abbiamo cominciato a guardare indietro e non avanti, a nutrirci della musica del passato invece di percorrere strade non ancora percorse. Ci si potrebbe chiedere che cosa rimarrà – tra venti, trenta, quarant’anni – di questi (esuberanti?) anni 20 in cui viviamo, di quest’epoca che continua a rimasticare il suo passato senza sputarlo.
La galassia nostalgica di frammenti di decenni passati in cui siamo immersi sarà in grado, un giorno, di generare nuova nostalgia? Forse è solo una fase, una moda passeggera, e presto inizierà un ciclo che ancora non siamo in grado di immaginare. O forse invece è davvero troppo tardi, la bomba è già scoppiata, il mondo finisce non con un bang ma con una canzoncina pop. E allora non ci resta che divertirci, e mentre el viento radioactivo despeina los cabellos ci avviamo tutti verso la spiaggia canticchiando: oh oh oh oh oh.
Fabio De Luca
Oh, oh, oh, oh, oh. I Righeira, la «playa» e l’estate 1983 Nottetempo, pagg. 312, € 17,50