PELLEGRINO DA ROMA A ORIENTE
Ripubblicata la «Grammatica della lingua turca», redatta dal letterato aristocratico nel 1620, un ponte culturale tra Est e Ovest
Una Grammatica – della lingua turca, conservata alla Biblioteca Apostolica Vaticana (ms Vaticano Turco 40; prima redazione: 10 settembre 1620) – e due mondi: Italia, con i suoi stati e staterelli, e Turchia/Impero Ottomano. Due mondi da sempre vicini, ma non sempre disposti a incontrarsi. Piuttosto a scontrarsi nell’età moderna: dice ben qualcosa la partecipazione degli italiani alla difesa di Vienna durante i più celebri assedi di questa città asburgica (settembre-ottobre 1529 e luglio-settembre 1683) dopo le avanzate dei turchi e dei loro alleati nell’Europa dell’Est; o la battaglia navale di Lepanto (7 ottobre 1571), avvenuta tra la flotta ottomana e quella della Lega Santa, promossa dal papa Pio V e di cui erano parte cospicua le galee e galeazze della Repubblica di Venezia.
Eppure c’è chi – come l’aristocratico Pietro Della Valle (1586-1652) – si è fatto «pellegrino» in quel mondo esotico e non sempre amichevole: un pellegrino, però, che potremmo definire “inverso”, perché si avvia da Roma verso l’Oriente, sembra per una delusione d’amore, quasi fosse già, e anzi tempo, un eroe romantico. Non ne dimostra però gli ardori e i languori. E viaggia, partendo nel giugno 1614, da nobile e da uomo colto qual è (aveva studiato letteratura, musica, legge), con tanto di seguito in cui è pure un pittore. Si muove così da una Roma, che già guardava con attenzione a levante (nel 1605 era stata istituita una cattedra di arabo alla Sapienza), a Venezia e, da là, non solo in Terra Santa fino a Gerusalemme, ma anche a Zante (sì, la Zacinto di Foscolo), quindi nell’Impero ottomano e oltre: nel Peloponneso, a Costantinopoli (dove resta affascinato dalla vita della metropoli, dalle lingue dei popoli che l’abitavano) e in Egitto, poi in Mesopotamia fino a Bagdad; quindi a Persepoli e da là in India per tornare in Italia viaggiando anche attraverso la penisola arabica e da Alessandretta (nella attuale provincia turca di Hatay), via mare, giungendo ai porti di Siracusa, Napoli, per rientrare nel marzo 1626 nella città dove era nato, e dove morirà: ribadendo Roma, caput mundi; anzi, orbis terrarum come aveva scritto Tito Livio nel primo libro della sua storia.
Del suo peregrinare in Oriente, Della Valle – da Accademico «Fantastico Umorista» – scrisse in cinquantaquattro «lettere familiari» (Roma, Mascardi, 1650-1658) all’amico Mario Schipano, che l’aveva introdotto agli interessi orientalistici ed era in amicizia anche con Galileo, Campanella e Della Porta. Una corrispondenza stracolma di notizie, dettagli e incontri di ogni sorta, riferiti con precisione grande, cosa che gli è valsa sia l’accusa di prolissità sia la lode di miglior viaggiatore del suo secolo. Riproposte nell’Ottocento presso le edizioni di G. Gancia (Brighton-Torino, 1843), le lettere di Della Valle sono state ripubblicate in epoca recente – anche in India in versione inglese – solo per estratti: ed è un peccato.
In Oriente, in piena Controriforma, o Riforma cattolica come si vuol chiamare, il cattolico Della Valle incontrò un bel numero di missionari, di cui elencava perfino la provenienza “regionale”: uno toscano, uno napoletano, uno veneziano, uno di terra d’Otranto… e proprio per i missionari, per chi volesse apprendere «senza aiuto di maestro», ma anche insegnare il turco, «la lingua più facile del mondo», compose la sua Grammatica, dedicata poi alla Sacra Congregazione De Propaganda Fide. Peraltro, Della Valle studiò e parlò oltre al turco anche altre lingue orientali: il persiano ad esempio, imparato grazie a un maestro ebreo che parlava il ladino sefardita (il cosiddetto giudeo-spagnolo). Lo faceva anche perché sperava di promuovere una alleanza dei popoli europei con lo Shah Abbas di Persia contro gli Ottomani, loro comune nemico; ma ciò gli permise pure di considerare la lingua, una lingua qualsiasi, in una prospettiva quasi comparatistica nei frequenti raffronti e come «risultante di un processo storico-culturale, aperta a influssi interni e esterni» (ad esempio proprio quelli del persiano nel turco), come precisano Nevin Özkan e Raniero Speelman, curatori dell’Edizione Critica, stampata dalla Accademia della Crusca. Malgrado i disegni politici, da vero uomo di cultura Della Valle amò la lingua turca, che era allora una lingua di comunicazione largamente diffusa: dalla pianura ungherese alla Cina occidentale, dall’Africa del Nord al Medio Oriente. Ne apprezzò, lui autore di opere musicali, la varietà, l’eufonia, la ricerca del «miglior suono» e ne illustrò le regole fonetiche oltre che i caratteri grafici peculiari e la loro lettura. Soprattutto, la sua Grammatica non scinde mai la lingua dalla cultura, il suo uso dalla mentalità del popolo che la parla: anche per questo Pietro Della Valle può essere annoverato fra i padri della moderna Orientalistica insieme con il matematico-filosofo cremonese poliglotta Giovan Battista Raimondi (1536-1614), che diresse la Stamperia Orientale Medicea.
Della Valle volle costruire «un ponte culturale tra Occidente e Oriente» (così la prefatrice Zeynep Korkmaz), e, in un momento in cui la Turchia non sembra sempre memore delle civiltà che l’hanno animata e attraversata in epoca moderna, la pubblicazione della Grammatica della lingua turca appare un vero evento per gli studi: anch’essa un ponte di salda, ideale, pietra, grazie alla collaborazione di istituzioni e università, di turcologi e italianisti di vari Paesi.
Pietro Della Valle Il Pellegrino Grammatica della lingua turca Edizione critica a cura di
Nevin Özkan, Raniero Speelman, A. Melek Özyetgin
Prefazione di Zeynep Korkmaz Accademia della Crusca, pagg. 214, € 25