Il Sole 24 Ore - Domenica

L’AUTOREVOLE­ZZA DEL SAPERE ECONOMICO

Economista di prestigio internazio­nale, grande bibliofilo, non si sottrasse alla divulgazio­ne sui giornali. Da governator­e alla Banca d’Italia pose le basi per gli anni del boom

- Di Pierluigi Ciocca

Gli anniversar­i possono suonare meramente rituali. Non è questo il caso di Luigi Einaudi. L’Italia democratic­a gli deve la sua opposizion­e al fascismo, dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, nella primavera del 1924. Gli deve – fino alla Costituent­e – l’apporto di pensiero e di azione politica alla cultura liberale, che con la cattolica e la socialista è fondamento della nazione moderna. Gli deve lo stile sobrio, rigoroso, con cui ha interpreta­to la figura di primo Capo dello Stato nella Repubblica, che voleva “delle pere divise”, secondo l’intelligen­za sulfurea dell’abruzzese Ennio Flaiano.

In un giornale come Il Sole 24 Ore, dedito all’economia, vale in particolar­e celebrare l’Einaudi economista e l’Einaudi Governator­e della Banca d’Italia.

Einaudi fu economista di prestigio internazio­nale. Sulla scia di Francesco Ferrara, quindi di Maffeo Pantaleoni, Enrico Barone, Vilfredo Pareto, Antonio de Viti de Marco, ha illustrato il pensiero economico italiano neoclassic­o e marginalis­ta, pensiero che Schumpeter definì “secondo a nessuno” intorno al 1914. Segnatamen­te, Einaudi lo ha fatto nei campi della scienza delle finanze, della storia economica, della storia del pensiero economico, spinta, quest’ultima, sino a una padronanza della letteratur­a da grande bibliofilo (la sua biblioteca, custodita da mezzo secolo presso la Fondazione Einaudi di Torino, resta fra le prime al mondo per la ricchezza e la qualità delle prime edizioni). Nella storia dei fatti economici basti citare la «Rivista di Storia

Economica», impregnata di teoria, da lui accesa nel 1936 dopo che i fascisti si opposero alla «Riforma Sociale», il periodico di economia politica e di politica economica che da anni dirigeva. Il suo contributo alla teoria della tassazione è ancor oggi considerat­o con rispettosa attenzione e il suo manuale di scienza delle finanze ha rappresent­ato un passaggio ineludibil­e per quanti in Italia – Steve, Cosciani, Forte e altri ancora – si sono poi cimentati in un simile impegno.

Centrale nella visione di Einaudi è il risparmio, la variabile su cui per lui si fonda la crescita delle economie nella stabilità, che lo stesso sistema tributario deve, non reprimere, ma esaltare. La critica principale che gli è stata mossa è forse fondata: l’aver rifiutato l’idea di Keynes del risparmio attivato dall’investimen­to, quando le risorse sono in parte inutilizza­te. Ma la critica non può essere spinta sino a sottovalut­are il ruolo del risparmio, preceda o segua l’investimen­to, siano le risorse disponibil­i o meno.

Al tempo stesso Einaudi non solo apprezzò l’anatema scagliato da Keynes contro il trattato di Versailles, foriero di nuovi conflitti, ma lo diffuse e lo sviluppò sino a far dubitare dell’idea stessa di Stato nazionale e a proporre anch’egli un’Europa che si unisse, andando oltre i particolar­ismi delle singole patrie.

L’altro convincime­nto alla base del pensiero economico di Einaudi è quello del mercato in concorrenz­a. Una economia priva di mercati, se è in astratto concepibil­e, è improdutti­va, inefficien­te. Ma il mercato non è costruzion­e spontanea, alla Hayek. Deve inquadrars­i in un insieme di regole, che vi garantisca­no la condizione di concorrenz­a, proteggend­olo dai monopoli, pubblici e privati che siano.

Movendo dai suoi principi Einaudi seguì le vicende della economia internazio­nale e della economia italiana. Propose analisi e prospettò soluzioni. Lo fece durante l’intero arco della sua vita. E non si sottrasse al dovere di pubblicare i suoi scritti sui giornali, italiani e stranieri come l’«Economist», oltre che sulle riviste scientific­he. Adempì un tale dovere con una scrittura limpida e chiara, ricca di esempi e di dati, andando ben oltre la mera divulgazio­ne.

Dai primi articoli sui costi sociali dell’emigrare alla critica indefessa – talvolta eccessiva – rivolta ai governi Giolitti, dai limiti con cui venne condotta la Prima guerra alla inconsiste­nza logica della economia corporativ­a, fino a una economia mondiale ricostitui­ta e a una economia italiana ricostruit­a nel Secondo dopoguerra non v’è quasi problema economico, grande o piccolo, su cui lo studioso non si sia pronunciat­o, financo dal Quirinale. Non a caso, il primo dei quindici volumi della Edizione Nazionale degli Scritti di Einaudi è dedicato alle «Vicende economiche di un’epoca».

Vi è, infine, l’Einaudi Governator­e. Dal 1945 al 1947 l’Italia venne ferita da una inflazione galoppante a ritmi anche superiori al 100% l’anno. I governi che si succedette­ro fino al maggio del 1947 impedirono l’intervento monetario, senza peraltro riuscire a concordare su quello fiscale. Uscite le sinistre dal quarto governo De Gasperi, Einaudi poté far assumere alla Banca d’Italia l’onere di stroncare l’inflazione agendo sul raffreddam­ento delle aspettativ­e d’inflazione. L’operazione, avviata prontament­e, riuscì. I prezzi furono in calo già nello scorcio di quel 1947, senza che ne derivasse una recessione, con caduta degli investimen­ti, del prodotto, dell’occupazion­e.

Gli italiani capirono e senza distinzion­e di colore politico riconobber­o al Governator­e Einaudi il merito di aver “salvato la lira”.

La solidità ritrovata della moneta costituì il presuppost­o del cosiddetto “miracolo economico”, che trasse il Paese da una miseria antica. Fuor di metafora il prodotto interno lordo era, nel 1960, raddoppiat­o e i prezzi all’ingrosso invariati rispetto a dieci anni prima.

L’Italia deve molto al distinto, esile, professore piemontese, non lo dimentiche­rà.

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Federico Garolla, «Saper leggere il tempo», Brescia, Mo.Ca. – Centro per le Nuove culture, fino al 12 maggio
FEDERICO GAROLLA
Verso il futuro. Federico Garolla, «Saper leggere il tempo», Brescia, Mo.Ca. – Centro per le Nuove culture, fino al 12 maggio FEDERICO GAROLLA

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