ERNESTO DE MARTINO MERITA UNA LETTURA NON SOPORIFERA
Il dramma esistenziale della vita storica delle donne e degli uomini; il rischio costante di perdita della presenza; la prospettiva di una fine del mondo che potrebbe avvenire, sempre per mano umana, a causa di un conflitto nucleare o per mancato correre ai ripari, anche dell’ultim’ora, tentando di ovviare ai disastri inflitti alla natura nell’inseguire l’ingordigia del progresso e dello sviluppo. Si tratta di almeno tre temi che fanno da guida, segnano e accompagnano in tutta la sua opera il pensiero di Ernesto de Martino. Un autore che ha trovato in Riccardo Di Donato uno dei maggiori e migliori studiosi: il pensiero, la biografia e il contesto sono stati indagati e documentati con la meticolosità del filologo e la prospettiva dello storico. Dando nuova vita a uno dei pensatori più importanti del Novecento, la cui ombra ancora ci sovrasta e ci accompagna in un campo di studi aperto e ampio che intreccia etnografia, storia delle religioni, antropologia, meridionalismo.
Il primo importante passo Di Donato l’ha mosso nel 1987, quando organizzò a Pisa un importante convegno svoltosi sotto gli auspici di Arnaldo Momigliano invitando numerosi studiosi a discutere l’opera di de Martino. Tutti contribuirono a mettere nuove basi per la lettura del suo pensiero, a cominciare proprio da Momigliano che riportò de Martino all’esistenzialismo italiano. JeanPierre Vernant intervenne sui temi della persona e della biografia, Girolamo Imbruglia sull’importanza delle sue oscillazioni tra Croce e Cassirer, Giovanni Agosti e Maurizio Sciuto aprirono l’essenziale riferimento a Aby Warburg. Quel seminario (La contraddizione felice, Ernesto de Martino e gli altri, ristampato nel 2016) rappresentò una scossa inattesa negli studi sull’autore, figura imponente ma resa soporifera dal tentativo di livellarlo nel dibattito sulle culture subalterne degli anni Settanta, e poi ancor più incerta con la discutibile edizione de La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali curata da Clara Gallini nel 1977.
Da quel momento Riccardo Di Donato ha continuato a condurre puntuali «investigazioni» sull’autore, ricostruendone per primo la «preistoria», interrogandosi sulla formazione, inquadrandolo in un panorama ampio e giustamente variegato dell’antropologia religiosa e mettendo a fuoco il suo particolare storicismo “ibridato”, così come l’ha definito.
Questa gran messe di ricerche, uniche nella precisione documentaria, nell’analisi puntuale e nella lettura ramificata del suo pensiero, divennero nel 1999 un libro (per il manifesto) che ebbe una vita fugacissima in quanto andò quasi subito esaurito. Fortunatamente oggi torna in libreria per Meltemi: I greci selvaggi. Antropologia storica di Ernesto de Martino. Di Donato ha disegnato un percorso di ricerca in cui sostiene «l’impossibilità di una interpretazione univoca dell’opera intellettuale di Ernesto de Martino» evitando le due «vulgate» che hanno imperversato: quella che voleva costringerlo nel solco della tradizione crociana, oppure quella che cercava di riconoscergli una sorta di evoluzione storicista che lo guidava verso il marxismo. Quest’ultima via incarnata da Cesare Cases ed espressa mirabilconvinta mente in una storica e comunque fondamentale introduzione al Mondo magico del 1973, che purtroppo dopo circa cinquant’anni è stata cancellata dall’ultima edizione.
La riproposizione de IGreci selvaggi non ha un valore solo documentario, se ne rivendica la sua attualità e utilità come metodo e come lettura interpretativa, come segnavia, visto che molti dei lavori che gli sono succeduti sono stati possibili proprio perché Di Donato ha funzionato come modello e riferimento. Il volume apre con Preistoria di Ernesto de Martino, ripreso dal convegno citato, quasi a segnare una continuità ma nel contempo affermare la forza di una rielaborazione; e si conclude con la rivisitazione proprio di quella Preistoria: il primo passo è affermare un universo di riferimenti e di conoscenze, di rapporti e di legami che non si possono riportare unicamente a Croce e a Omodeo, ma si estendono a Vittorio Macchioro e a Raffaele Pettazzoni, convergenze che oggi possono apparire scontate ma che allora non lo erano. Soprattutto perché non rimasero sul piano del rapporto biografico astratto, ma incisero pesantemente sul piano delle relazioni intellettuali e soprattutto furono indispensabili
DI DONATO RICOSTRUISCE LA FIGURA DELLO STUDIOSO TRA BIOGRAFIA E DOCUMENTI INEDITI
a costruire un pensiero che si fece sempre più unico.
D’altro canto furono proprio questi scambi a guidare sempre più de Martino verso un’apertura europea, non solo per il versante degli studi della religione, ma anche quello del simbolismo, oltre che per la definizione del concetto di magia nella quale inizialmente intendeva coinvolgere ampie collaborazioni e che poi rielaborò nel suo secondo libro come una base di lavoro che prese la forma dei Prolegomeni a una storia del magismo. Di non secondaria importanza l’intreccio di tutto questo con l’attività politica – prima con il partito socialista e poi verso un controverso rapporto con il Partito comunista – che, nello stesso tempo, lo aprì agli interessi meridionalisti che, grazie a inchieste etnografiche uniche, gli fecero produrre libri fondamentali come Terra del rimorso.
Di Donato ricostruisce con sapienza e maestria, sulla base di documenti inediti o inseguendo scambi epistolari o tracce d’archivio, un intreccio fatto di elementi biografici, interessi culturali, spinte etiche e volontà morali, fragilità personali ed elaborazioni teoriche, tracciando anche il profilo di un uomo separato e spesso messo da parte dalle leggi dell’accademia o della politica, ma che con tutte le difficoltà e gli ostacoli che spesso i suoi stessi seguaci gli hanno creato, ha continuato fino alla fine a combattere, lasciandoci un’eredità tra le più importanti del Novecento.
Riccardo Di Donato
I greci selvaggi. Antropologia storica di Ernesto de Martino Meltemi, pagg. 288, € 20