LE MERAVIGLIE DI ZUMBO SONO CORPI DI CERA
Il maestro siciliano rivoluzionò il settore inventando una tecnica per colorare le opere e studiando a fondo l’anatomia. A Parigi stupì i francesi esibendo una testa. Il saggio di Andrea Daninos
Nel 1775, il marchese de Sade, a Firenze sotto falso nome per sfuggire a pesanti condanne, era entrato in una sala del museo della Specola, dove era rimasto folgorato dai capolavori di cera di un artista sconosciuto, Gaetano Giulio Zumbo (1656-1701). A questa formidabile, poco nota figura, Andrea Daninos, grande specialista e collezionista di ceroplastica, ha dedicato un imponente saggio.
Sade aveva notato in una vetrina un sepolcro gremito di cadaveri, in cui si potevano distinguere le diverse gradazioni della putrefazione, dalla salma recente fino a quella divorata dai vermi. Era la Vanità della grandezza umana. L’impressione era stata così forte che il marchese si era turato automaticamente il naso, mentre veniva assalito da sinistri pensieri sulla labilità del corpo. Poco più in là era rimasto impressionato dalla scena di un gruppo, sempre di Zumbo, di malati devastati dalla peste tra cui spiccava uno sventurato nudo che portava il cadavere di un appestato per gettarlo nel mucchio, ma, soffocato lui stesso dal miasma e dall’orrore, cadeva riverso. «Questo gruppo, aveva concluso, è di una verosimiglianza spaventosa».
La breve esistenza di Zumbo è piena di vuoti. Si diceva che fosse figlio illegittimo di un nobile e di una schiava, ma in altri documenti risultava membro di un’antica famiglia aristocratica gli Zummo o Zumbo. La scultura di cera aveva dietro di sé una lunga storia: «Di certo, spiega Daninos, la ceroplastica si praticava già in Sicilia prima di lui», sovente su soggetti religiosi, dai santi ai presepi. Ma Zumbo l’aveva rivoluzionata invenNon una tecnica per colorarla e studiando l’anatomia umana.
Probabilmente come molti intellettuali dell’Ancien Régime era diventato abate per garantirsi una piccola rendita. Di certo era stato a Napoli, a Roma a Firenze e a Bologna, ma non si sa chi l’avesse invitato. Aveva ottenuto il primo, grande successo presso il granduca Cosimo III de’ Medici, per cui aveva realizzato tra il 1691 e il 1695 alcune delle sue opere più strabilianti sui diversi stadi della decomposizione delle salme e sulle terribili conseguenze delle malattie. Per Ferdinando, il figlio del granduca malato di sifilide, aveva plasmato un terrificante quadro sulle conseguenze di quello che allora veniva chiamato il morbo gallico. Malgrado i riconoscimenti ricevuti, però, Zumbo aveva deciso di andarsene. Nell’unico suo ritratto, forse un autoritratto, nel suo sguardo serpeggia l’inquietudine: «Un uomo pallido, col viso pensoso o addirittura scavato dal pensiero: Amleto nella scena del cimitero avrebbe potuto apparire così», scriveva Mario Praz. Non a caso un contemporaneo, il conte de Caylus, insisteva sul suo carattere estremamente malinconico, forse un’oscura intuizione dell’imminenza della sua stessa fine. Per questo probabilmente continuava a sfidare la morte sul suo stesso terreno per strapparle la bellezza quando ormai sembrava essere già troppo tardi.
si sa chi avesse invitato Zumbo in Francia, ma a Marsiglia alcuni gran signori erano rimasti impressionati dai suoi lavori. Un’importante rivista, il «Mercure Galant» aveva scritto che aveva trovato il segreto di riprodurre esattamente con la cera ogni parte del corpo umano «in modo che in futuro si potranno fare le lezioni di anatomia tutto l’anno senza temere la puzza e le infezioni».
A Parigi, la fama crescente aveva aperto le porte di molti salotti a quel gentiluomo siciliano che stupiva i francesi esibendo una testa scorticata di cera, in cui aveva riprodotto con assoluta fedeltà i muscoli, i tendini, le vene, le arterie, i nervi le ossa e le ghiandole «con una tinta talmente naturale che si direbbe una testa vera». Buffon, il grande naturalista, aveva definito la ceroplastica un’arte ibrida, a metà strada tra la scultura e la medicina. Protetto dal Gran Delfino, il figlio del Re Sole, e dai più potenti cortigiani, Zumbo aveva ottenuto dal re il monopolio delle riproduzioni in cera di tutte le parti del corpo umano e animale e la possibilità di tenere lezioni di anatomia. Il nipote di Luigi XIV, il duca Philippe d’Orléans, il futuro reggente, si era presentato con la sua corte nella modesta casa di Zumbo in rue des Cordeliers. L’unica amarezza gli veniva dalle calunnie di un chirurgo invidioso della sua gloria, il francese Desnoues, con cui aveva lavorato a Genova.
Questi riconoscimenti e molte commissioni gli erano stati procurati dalla protezione di una facoltosa borghese, Élizabeth Sophie Chéron (Parigi, 1648-1711), pittrice, poetessa e musicista, al centro di un salotto artistico. La signora aveva notato come l’abate rimanesse triste e abbattuto, nonostante lodi che piovevano sui suoi latando vori. Indagando su di lui, aveva scoperto la sua povertà e, per non offenderlo con un regalo, gli aveva comprato per sei luigi d’oro una piccola testa anatomica, ma soprattutto aveva sollecitato un gruppo di collezionisti a concorrere al suo sostentamento, fornendo per prima il suo contributo. Inoltre, avendo saputo che era gravemente malato, l’aveva assistito curandolo e nutrendolo. Confortato, Zumbo aveva osato chiederle un prestito, dandole in pegno due sue grandi opere.
In questo caso, nota una studiosa del suo periodo francese, Elena Taddia, è difficile appurare l’intensità dei rapporti tra quella matura donna sposata, che tuttavia teneva a farsi chiamare signorina, e un artista ormai famoso, ma sempre alle prese con una saluta precaria e incessanti difficoltà economiche.
Zumbo si era spento precocemente sei mesi dopo il suo arrivo nella capitale. La sua protettrice aveva fatto celebrare a sue spese il funerale. Nell’inventario degli oggetti rinvenuti dopo la sua morte risultavano solo qualche abito liso, un crocefisso, un piccolo specchio, una vecchia parrucca bionda, tutte cose di poco valore, e alcuni disegni.
La sua tomba nella chiesa di Saint-Sulpice sarebbe stata distrutta nel corso della rivoluzione francese, ma Zumbo era riuscito a fissare negli occhi la Medusa e a trasformare in arte lo spaventoso spettacolo del disfacimento del corpo umano.
OTTENNE IL MONOPOLIO DELLE RIPRODUZIONI DELLE PARTI DEL CORPO UMANO E ANIMALE E LA POSSIBILITà DI TENERE LEZIONI DI ANATOMIA
Andrea Daninos
Gaetano Giulio Zumbo 1656-1701
Officina Libraria, pagg. 328, € 45