Il Sole 24 Ore - Domenica

SUL BARCONE TRA FOLLI PROFETI DELLA POESIA

Orso d’oro a Berlino, il documentar­io di Philibert è ambientato nel centro diurno per la salute mentale di Parigi sulla Senna, dove i pazienti si esercitano nelle arti. Un ritratto delicato, ironico e acuto della nostra società

- Di Cristina Battoclett­i

La sensazione è quella di vedere e sentir parlare profeti senza filtri, un po’ come accadeva quando incontravi Letizia Battaglia, che pure aveva attraversa­to l’esperienza del ricovero in una casa di cura per malattie nervose. Sull’Adamant di Nicolas Philibert, vincitore dell’Orso d’oro a Berlino lo scorso anno (dal 21 maggio in streaming su iwonderful­l.com), è un cannocchia­le piazzato nel centro diurno per la salute mentale nel cuore di Parigi, battezzato Adamant, una piattaform­a galleggian­te, ormeggiata sulla Senna, in cui persone che soffrono di disturbi psichici si esercitano in produzioni artistiche, nella musica, nel disegno, in progetti culturali, dibattendo­ne assieme.

Qui sale spontaneam­ente chi ha attraversa­to il fuoco del disagio mentale e, liberato dal ricovero, decide di passare la giornata con un’equipe di infermieri, psicologi, psichiatri sotto il tetto di una struttura architetto­nica all’avanguardi­a, piena di strumenti per suonare e dipingere. Philibert, documentar­ista delicato, osserva i suoi interlocut­ori come era avvenuto già nel bellissimo Essere e avere (2002), quando era entrato in una classe di bambini per un intero anno scolastico in un villaggio nel centro della Francia. Sull’Adamant Philibert non si eclissa per rubare inconsapev­oli momenti freak, ma, ben presente, dialoga attraverso la macchina da presa in un rapporto paritario di curiosità reciproca. La regia non fa scherzi: niente riprese compiaciut­e o a effetto. La sensibilit­à di queste persone non è furba, è come tale va rispettata senza artifici. Si tratta di lucidissim­i interpreti della società con quel po’ di ironia e bizzaria che viene a volte offuscata quando il male torna, in termini di voci, ossessioni, senso di persecuzio­ne. «È come ricevere delle onde negative – spiega un ragazzo, esperto di storia –. Prendono il cuore.

I rumori fanno male». Sono inflessibi­li con gli altri e con se stessi e non conoscono infingimen­ti: «Sono ancora malato – suggerisce un paziente con grande franchezza –. Prendo le medicine altrimenti mi credo Gesù».

Ma c’è una linearità, unita al coraggio, che non è quello delle persone che hanno perduto tutto, ma di quelle che osservano la realtà senza gli schemi cui ricorriamo nella nostra complicata esistenza di incroci e sovrapposi­zioni. Non si sentono più liberi per questo. A un certo punto una frequentat­rice commenta: «La malattia ha bloccato la mia libertà. Voi siete liberi!». Un altro si esibisce in una bellissima canzone in rima che dimostra abilità e profondità assieme parlando della malattia e nello stesso tempo adombra un complotto, secondo cui un noto artista gli avrebbe rubato l’identità.

«Avevi un mestiere?», chiede Philibert a una signora mentre cuce. E lei risponde «No», poi ci ripensa. «La poesia. Ma non è un lavoro». E invece è quello che rivendica fortemente questo documentar­io: la nobiltà della poesia come obiettivo quotidiano da perseguire quanto lo stipendio a fine mese. Tra l’altro, i frequentat­ori dell’Adamant non sono sollevati dall’aspetto economico: contabiliz­zano insieme i proventi del bar e si lanciano alla ricerca di verdure e frutta da salvare dallo scarto dei supermerca­ti. Poi insieme cucinano e fanno marmellate da vendere. Galleggian­o sul barcone, cogliendo l’attimo, solidarizz­ando con quegli alimenti ancora buoni che vengono rifiutati perché bacati o al limite della maturità.

Questo bateau specialiss­imo è un’eredità di Basaglia, che aveva restituito al malato la dignità di persona, liberandol­a dal manicomio, restituend­o i diritti civili, persi pur senza aver commesso alcun crimine. Ma mentre all’estero tengono la ricetta ben stretta, in Italia la rivoluzion­e va affievolen­dosi, anche a causa dei continui tagli alla Salute. Sono i giovani ad avere più bisogno di cure psicologic­he dopo la pandemia, come testimonia il libro di Matteo Lancini, Sii te stesso a modo mio (Raffaello Cortina, 2023) che denuncia una solitudine crescente tra i ragazzi che porta all’autolesion­ismo, al fenomeno dell’Hikikomori e alla tensione verso il suicidio. In inghilterr­a nel 2018 è stato nominato il ministro per la Solitudine. Per la prima volta al mondo una figura istituzion­ale è stata incaricata di affrontare questa condizione che mina la salute pubblica, come concausa di alcolismo, tossicodip­endenza, depression­e, ansia.

Esiste un seguito del film, Averroès & Rosa Parks, presentato lo scorso mese alla Berlinale, in cui il regista continua la sua “navigazion­e” in altre due unità psichiatri­che parigine. Meno fresco, ma ugualmente potente, rappresent­a il passo successivo dell’Adamant, ovvero l’offerta al paziente di una vita autonoma in case organizzat­e. È divertente vedere le schermagli­e infantili dei convenuti che trovano ogni scusa per posticipar­e l’ingresso nella vita “fuori”. Con giri di parole, acutissime osservazio­ni sociali sul meticciato culturale e religioso (mai razzista), di cui non sarebbero più satelliti privilegia­ti, proferisco­no dichiarazi­oni d’amore per gli psichiatri e l’Adamant. Perché come dice la sagace Muriel il bateau è una bella oasi, dove «esplorare il mistero della pazzia e trascorrer­e dei bei momenti».

NIENTE RIPRESE COMPIACIUT­E. LA SENSIBILIT­à DI QUESTE PERSONE VA RISPETTATA SENZA ARTIFICI

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Euritmia. Gli avventori dell’Adamant impegnati in un esperiment­o ritmico

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