L’OCCHIO DEI REGISTI CONTRO APARTHEID E REGIMI
Da alcuni anni il Festival du film et forum international sur les droits humains (Fifdh) di Ginevra, il più importante al mondo, unisce alla conoscenza di ciò che di più tremendo avviene sulla Terra, all’emozione della narrazione visiva e alla passione che anima chi rischia la vita per far sapere a tutti cosa accade ad alcuni, l’azione cui questa consapevolezza muove. Ancora di più, forse, nell’ultima edizione, diretta da Laila Alonso Huarte e da Laura Longobardi, ex responsabile di «Impact days», sezione del festival che mette in contatto attivisti e registi con Ong, organizzazioni internazionali e altri attori che potrebbero portare soluzioni o aiuti.
«Chiedete ai vostri governi di scambiare prigionieri politici e non solo soldati!»: è stato l’appello lanciato dal premio Nobel Dmitri Muratov, cofondatore, editore ed ex direttore del giornale russo indipendente «Novaya Gazeta», alla platea gremita del festival in occasione dell’anteprima mondiale di Of caravan and the dogs, di Askold Kurov & Anonyme 1. Documentario che, filmando le reazioni di giornalisti indipendenti, segue le mosse di Vladimir Putin che hanno portato alla soppressione della libertà di stampa. Forte solo dei suoi travestimenti e della narrazione che sa creare attorno al corpo, conduce la sua silenziosa e trascendente battaglia contro il totalitarismo anche l’artista queer siberiana Gena Marvin nell’emozionante Queendom, di Agniia Galdanova. Della Russia, anzi della Cecenia, narra pure il delicato The cage is looking for a bird, di Malika Musaeva, storia di una ragazza di campagna che non vuole accettare che il suo futuro possa essere solo quello di moglie; film vincitore del Grand prix fiction assieme a The settlers, di Felipe Galvez, aspro e suggestivo racconto dell’usurpazione coloniale della Terra del fuoco.
Quello di far riconoscere il «gender apartheid», l’apartheid che ancora esiste nel XX secolo e che riguarda metà della popolazione afgana - le donne - è stato un altro fondamentale appello promosso da leader afgane in esilio (ritratte in An unfinished journey, di Amie Williams e Aeyliya Husain). Chiedono all’Onu, che ad aprile redigerà la nuova convenzione sui crimini contro l’umanità, di includere anche quello di apartheid di genere, ora neppure preso in considerazione (endgenderapartheid.today). Taghi Rahmani, giornalista e marito della Nobel Narges Mohammadi, al termine del disturbante Là où dieu n’est pas, di Mehran Tamadon, sulla tortura nelle carceri iraniane che pure lui ha subìto, ha invocato la liberazione della moglie, colpevole di aver incitato le iraniane a scoprire il volto. Nell’anno in cui la metà della popolazione mondiale va al voto senza regole sull’uso dell’intelligenza artificiale lascia sgomenti Total trust, di Jialing Zhang, che mostra il sistema di sorveglianza tecnologica in atto in Cina.