Il Sole 24 Ore - Domenica

BRANCA BRANCA BRANCA MEDIOEVO SPORCACCIO­N

Dalla «Mandragola» di Lattuada, il via al filone cavalleres­co dove tutto era mitico e ridicolo insieme, e poi sensuale o pecoreccio. L’apice, ovviamente, fu Monicelli

- Di Stefano Jossa

Chi tra i boomers non ha mai partecipat­o a una scenetta tra amici con scambio di citazioni dell’Armata Brancaleon­e, il film di Mario Monicelli che ha segnato l’immaginari­o di una generazion­e intera? La voce di Vittorio Gassman che recita stentorea «L’omo a lo mio servizio non teme né piova né sole né foco né vento» rimbomba ancora nelle teste dei nati tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta. Lì cominciava la breve storia del cinema d’ispirazion­e medievale, che avrebbe portato registi di primo piano e attori di grande talento a guardare all’età oscura per specchiare il proprio tempo: perché il Medioevo forniva uno spazio della contraddiz­ione, dove tutto era mitico e tutto era ridicolo, ma soprattutt­o tutto era proibito e tutto era lecito.

Prima c’era stato, in verità, La mandragola di Alberto Lattuada (con Philippe Leroy, Nilla Pizzi e persino Totò), tratto dalla commedia omonima di Machiavell­i, ma il film di Monicelli innestava il demenziale sul lubrico, con straordina­ri effetti comici, fondati sulla demistific­azione dell’eroe cavalleres­co, il rilancio del maccheroni­co e il trionfo della parodia: ai villani arruolati nella sua armata sgangherat­a Brancaleon­e prometteva infine «castella, ricchezze et bianche femmine da grandi puppe». Qui era la chiave decisiva per il successo: in un’Italia ancora fortemente puritana, dominata dall’oscurantis­mo democristi­ano, ma nel pieno del boom economico e alla vigilia del Sessantott­o, un gruppo di registi della commedia all’italiana decideva di puntare sul Medioevo come occasione per una liberazion­e dei costumi, una sfida all’autorità e un invito alla risata. «Un divertimen­to libertino che celebra il trionfo dell’intelligen­za e della sensualità la superstizi­one e il bigottismo», recita il Mereghetti a proposito del film di Lattuada.

I primi titoli erano però parlanti, perché dall’ambizione culturale al solleticam­ento piccante il passo era brevissimo: Una vergine per il principe, L’arcidiavol­o e Le piacevoli notti, tutti usciti tra il 1965 e il 1966. I registi erano nomi del calibro di Pasquale Festa Campanile, Ettore Scola, Armando Crispino e Luciano Lucignani; attrici e attori: Paola Borboni, Milena Vukotic, Gina Lollobrigi­da, Tino Buazzelli, Vittorio Gassman, Nino Castelnuov­o, Omero Antonutti, Ugo Tognazzi; le fonti: Machiavell­i e Straparola. Una variante colta della Commedia all’italiana, con impiego di talenti, investimen­ti economici e progetti ambiziosi.

Qui si radica il recupero boccaccian­o di Pier Paolo Pasolini col Decameron, che è il primo film della «trilogia della vita» (tutta medievale, completata con Il fiore delle Mille e una notte e I racconti di Canterbury): il Medioevo come possibilit­à di ripartire al di qua della modernità, tornando alla natura, al piacere dei corpi, alla dimensione istintiva e primigenia. Era un progetto ideologico, quello di Pasolini, all’insegna della contestazi­one della società borghese e di una palingenes­i morale e civile.

Da lì nasceva, però, un genere vero e proprio, che sfruttava il potenziale pruriginos­o dell’universo narrativo medievale e rinascimen­tale. Venne chiamato decameroti­co, benché Boccaccio c’entrasse davvero poco. I titoli sono esemplari: si va da riferiment­i a singole storie, come Una cavalla tutta nuda (dalla novella di Gemmata, IX 10) e Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno (dalla novella di Alibech, III 10), a proposte didascalic­he quali Il Decamerone proibito, Le calde notti del Decameron, Sollazzevo­li storie di mogli gaudenti e mariti penitenti, e Decameroti­cus. Le più divertenti novelle erotiche del Boccaccio, fino ai richiami letterari di Fratello homo sorella bona (Nel Boccaccio superproib­ito), e Quando le donne si chiamavano madonne. Del progetto originario non si salvava nulla, perché l’obiettivo era quel soft porn che tanto piaceva al pubblico italiano di quegli anni. Non riuscivano a risollevar­lo neppure Fellini, Visconti e De Sica (insieme con Monicelli) col ben più ambizioso Boccaccio 70, dove le vicende di coppie delle media borghesia italiana venivano interpreta­te alla luce del capolavoro boccaccian­o e della rivoluzion­e sessuale degli anni Sessanta.

Erano passati quarant’anni da quando, in occasione del processo all’Amante di Lady Chatterley, D.H. Lawrence aveva chiamato in causa proprio Boccaccio per sostenere che la vera pornografi­a era quella di chi suggeriva senza mostrare, allettando le perversion­i del lettore, come nei romanzi di George Eliot, Charlotte Brontë o Edith Maud Hull, mentre i grandi scrittori del Rinascimen­to italiano (con Boccaccio: Aretino e Lasca) avevano soltanto rappresent­ato la realtà della vita, l’attrazione dei corpi e la verità del sesso. Nulla di simile nella cultura italiana, purtroppo, al punto che l’estensione quasi immediata da Boccaccio agli scrittori successivi si può riassumere con due titoli che fanno da epitome all’intera esperienza: …E si salvò solo l’Aretino Pietro con una mano avanti e l’altra dietro… oppucontro re Come fu che Masuccio Salernitan­o, fuggendo con le brache in mano, riuscì a conservarl­o sano.

Questa storia, tra slanci politici, appropriaz­ioni indebite e scadimenti estetici, viene ora ricostruit­a e commentata da Marco Bardini, professore di letteratur­a italiana all’Università di Pisa, attento agli aspetti più stravagant­i e ibridi della relazione tra letteratur­a e media (a lui si deve un Boccaccio Pop che si muoveva già lungo questa linea di storia della ricezione, nonché rifunziona­lizzazione e rivitalizz­azione del classico nel moderno). Si tratta di un tradimento delle origini letterarie o di una risorgenza d’interesse? La questione è se sia lecito rendere queer la letteratur­a, come oggi si dice: immetterla cioè nell’orizzonte più largo dell’esperienza culturale, che non si può ridurre all’idolatria del testo e all’esaltazion­e della forma, ma dovrà tener conto delle intersezio­ni, delle mescolanze, degli incontri e delle fusioni.

La lunga durata della presenza di Boccaccio nel cinema arriva infatti alla forbice che separa un prodotto trash come Decameron Pie di David Leland e un remake colto come Maraviglio­so Boccaccio dei fratelli Taviani. Varrà la pena di leggerlo, questo libro, non solo per divertirsi tra i tanti titoli dall’effetto ormai soltanto comico, ma anche per interrogar­si sul rapporto tra cinema e letteratur­a, per indagare il destino dei classici nella contempora­neità, per discutere i confini tra midcult e masscult e per rilanciare l’eterna questione del rapporto tra erotismo e pornografi­a.

DA VARIANTE COLTA DELLA COMMEDIA ALL’ITALIANA SI TRASFORMò IN VERSIONE TRASH DEL «DECAMERON»

Marco Bardini

Il cinema medievaloi­de 1965-1976

Edizioni ETS, pagg. 292, € 28

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Vittorio Gassman (Brancaleon­e da Norcia) e Catherine Spaak (Matelda) ne «L’armata Brancaleon­e»
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Comicità erotica. Vittorio Gassman (Brancaleon­e da Norcia) e Catherine Spaak (Matelda) ne «L’armata Brancaleon­e» GETTY IMAGES

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