BIZZARRO BIZZARRI, MAESTRO DELL’OCCHIO
In mostra a Reggio Emilia la prima retrospettiva sull’artista (anche se detestava il termine) che con libri, pubblicità, art direction e grafica riuscì a dare un linguaggio nuovo e originale alla comunicazione di massa
Bizzarro. Agg. [etimo incerto]. Che attrae l’attenzione per la sua stranezza e originalità: balzano, bislacco, capriccioso, curioso, eccentrico, estroso, inusitato, strambo, stravagante. Tutti questi aggettivi possono inquadrare la complessa figura di Giulio Bizzarri ma ne fanno solo da cornice a quanto egli stesso scrive: «Profanare il sacro, sbeffeggiare e schiaffeggiare l’arte, irridere l’autorità, compiacersi del Kitsch e della superstizione. Dare leggeri colpi di scalpello alla ben levigata superficie delle comunicazioni di massa, più per banalizzare la banalità che per sdegnarsene».
A tre anni dalla sua scomparsa, i Musei Civici di Reggio Emilia racchiudono in mostra (aperta fino ad oggi), la prima monografia di uno dei più importanti intellettuali della città emiliana: «Giulio Bizzarri. Arte divertissement pubblicità», curata da Ernesto Tuliozi e Alessandro Gazzotti, con il complemento di un sontuoso e ragionato catalogo che resterà (Corraini, a cura di Marta Sironi).
Nato nel 1947, Bizzarri fa parte di una feconda nidiata (Gianni Sassi, Massimo Dolcini, Giovanni Anceschi e tanti altri autarchici immaginatori) di comunicatori visivi italiani e art director che, dagli anni 60 agli anni 80, hanno mescolato le carte della grafica e della pubblicità tra mass media e arte contemporanea, fuori e dentro i circuiti istituzionali.
«Tutta la sua opera», scrive Marta Sironi nell’introduzione al catalogo «è intesa a scardinare una lettura disciplinare a favore di un gioco di specchi che, attraverso il sistema combinatorio e lo scarto surrealista favorisse una visione sempre rinnovata, e pertanto mai scontata, della realtà. Un processo che lo ha portato a considerare la direzione artistica il mestiere cucito su misura, sempre inteso in termini di ricerca, nella pubblicità e nella comunicazione in ambito culturale così come nella didattica. Un mestiere mai limitato da una tecnica o a un ambito di ricerca che chiedeva piuttosto di aprirsi a un sistema corale di cui lui era l’artefice inventore, l’appartato ricercatore, l’ordinatore perfezionista».
Da Elitropia, casa editrice per cui Bizzarri collabora al progetto grafico– editoriale di «In forma di parole», alla regia grafica del magazine «Gran Bazaar», dalle manifestazioni culturali «Fatto a Parma» e «Esplorazioni sulla via Emilia», assieme a compagni di viaggio come Ermanno Cavazzoni e Luigi Ghirri, tesse continue collaborazioni dove la sua figura è sempre dietro le quinte. Un regista occulto. Un ricercatore eclettico che fa convergere le proprie idee nell’Università del Progetto (Università Non Immaginaria Vive Elaborando Ricerche Strategiche In Tanti Ambiti Dove Elogiano La Progettazione Ristudiando Originali Giochi Enigmistici Trattandoli Talvolta Ostinatamente) fondata nel 1989, summa di un percorso dove le regole del suo insegnamento agli studenti seguono quelle dell’ “occhio turbato”, ovvero un metodo dove la formalizzazione dell’immagine non sia mai scontata (la rivista «Merci»), ma anche la parola che ne è associata sia sempre disturbante o equivoca.
Il gioco versatile dell’OpLePo (nel campo della sperimentazione linguistica), inteso come traslitterazione semantica del linguaggio e del significato, permane come fulcro dell’intera attività dell’artista (sostantivo che Bizzarri biasimava), tra asincronismi stranianti (Uno Nettuno centomila, I porci comodi, Manuale di compitazione telefonica) ispirati agli Esercizi di stile di Raymond Queneau, con un’inclinazione che lo porta a concepire una propria visione dadaista in enigmistici codici visivi (Telescrivente) che lasciano spazio a una “turbata” ambiguità ma orfane di soluzioni sedative.
Per riavvolgere il gomitolo nel dedalo dei lavori di Bizzarri, i curatori della mostra e la grafica Giulia Boccarosa, si sono avvalsi della forma sistematica dell’abbecedario per compilare il catalogo monstrum. Un grande dizionario dove trovano ragione non solo le diverse attività artistiche ma anche minuziose annotazioni di eventi, prodotti, collaborazioni e nomi, in rigoroso ordine alfabetico, e che consentono di accedere al poliedrico operato di Biz, come affettuosamente lo chiamava l’amico Ermanno Cavazzoni.