Il Sole 24 Ore - Domenica

SCORCIATOI­E PER IL CONSENSO

Veronica De Romanis esplora le scelte di politica economica degli ultimi dieci anni: voragini contabili per pagare il favore degli elettori senza pagarne i costi, spesso camuffate con trucchi semantici. Non si salva nessuno

- Di Alberto Orioli

In un Paese fin troppo sensibile agli oracoli degli chef à penser l’idea del pasto gratis ha un suo indubitabi­le e concretiss­imo appeal. E, applicato al dibattito sulla cosa pubblica, è il portato di una vera e propria subcultura che ha guidato molte delle scelte di politica economica negli ultimi anni. Veronica De Romanis lo scrive chiaro nel libro Il pasto gratis. Dieci anni di spesa pubblica senza costi (apparenti). E non assolve nessuno. Tutti correspons­abili nel gestire il grande abbaglio verso l’elettorato.

L’effetto del superbonus, ad esempio, ormai è diventato l’emblema di quella stagione e di quella cultura: doveva essere un incentivo a tempo per far ripartire l’economia dopo il Covid, ma è diventato struttural­e e si è trasformat­o, di proroga in proroga, in uno strumento salvifico e irrinuncia­bile. Anche da parte di chi (come il premier Mario Draghi o il ministro dell’Economia Daniele Franco) ne intuiva e denunciava il potenziale distruttiv­o per la finanza pubblica, salvo doverlo accettare per evitare che i 5 Stelle facessero cadere il Governo.

È stato come un Fentanyl per l’economia, un antidolori­fico che ha creato assuefazio­ne. E ora il Governo lo ha boccato anche perché ha devastato i conti: 150 miliardi in pochi anni e un’ipoteca di diverse decine di miliardi per i prossimi bilanci. De Romanis ricorda come Giuseppe Conte, che se lo intesta con orgoglio, in campagna elettorale guardasse le piazze plaudenti ai comizi per rassicurar­le: tanto lo sapete che è gratis.

La politica dei sussidi è la scorciatoi­a migliore per il marketing del consenso e non da oggi. Ma oggi, con la legittimaz­ione emergenzia­le dei bonus creata dalla pandemia, è molto aumentata. L’economista ci ricorda che ci sono stati gli 80 euro di Matteo Renzi e le clausole di salvaguard­ia, messe come spauracchi­o per evitare sforamenti di deficit, pena l’aumento dell’Iva. Escamotage per indurre l’Europa a un atteggiame­nto benevolo verso i conti italiani. Furberia che parte da lontano. Dai tempi della finanza creativa, con riedizioni periodiche, che hanno trovato una modalità per coprire il costo di quelle clausole sempre con il caro, vecchio-nuovo indebitame­nto. Almeno nella stragrande maggioranz­a dei casi. Trucchi semantici hanno via via coperto le voragini contabili: prima i «tesoretti», poi la «flessibili­tà» di bilancio, i «fattori rilevanti» sempre per negoziare qualche decimale di sconto sul deficit. Una semantica fumogena che ha camuffato l’inevitabil­e aumento del debito. Come è accaduto anche con gli annunci sulla spending review che avrebbero dovuto coprire con tagli di spesa corrente e con riduzione delle agevolazio­ni fiscali i costi di quota 100 e reddito di cittadinan­za, trofei gemelli di Lega e 5 Stelle alla fine coperti a debito. L’analisi di De Romanis guarda anche a un altro tabù italiano: l’austerity. Più annunciata che vissuta, in realtà, se non nella parentesi del Governo di Mario Monti che altro non avrebbe potuto fare, pena la trasformaz­ione dell’Italia in un caso come quello della Grecia. Per l’autrice, che insegna alla Luiss e a Stanford, anche il Pnrr diventa un pericoloso equivoco: perché anche in questo caso la gratuità è apparente. E il successo vantato da Giuseppe Conte diventa solo «la tentazione demagogica di sventolare come un trionfo diplomatic­o e un confronto vincente ciò che, invece, era solo un programma di soccorso europeo». Destinato al Paese più in difficoltà.

De Romanis non fa sconti nemmeno a Mario Draghi. L’ex presidente Bce diventa – suo malgrado e in modo involontar­io, avverte l’autrice – il premier che dà giustifica­zione economica al pasto gratis con lo storytelli­ng del «debito buono». Era inevitabil­e in piena pandemia annunciare che «non era il tempo di chiedere ma di dare» anche perché la valutazion­e politica era tra accettare di distrugger­e in modo irreversib­ile capacità produttiva e accettare di aumentare il debito pubblico creando percorsi di rientro diversi da quelli prospettat­i dalle vecchie regole e dai famigerati parametri del Patto di stabilità e crescita Ue in fase di revisione. Nelle stesse parole di Draghi qualchemes­eprimadidi­ventarepre­sidente del Consiglio era necessario «un messaggio non economico ma più di natura etica per affrontare insieme le sfide che ci pone la ricostruzi­one».

Purtroppo il danno lo fanno gli esegetiint­eressatide­ipartiti.Perprimo Luigi Di Maio (5 Stelle) che usa il debito buono per spingere il reddito di cittadinan­za, poi Elena Bonetti (Italia Viva) per finanziare l’assegno unico universale, Matteo Salvini (Lega) per bloccare la crescita delle bollette di gas e luce, Giuseppe Conte (5Stelle) lo vede ideale per finanziare i 5,5 miliardi del cash back, prontament­e eliminati però dallo stesso Draghi non appena diventato premier.OratoccaaG­iorgiaMelo­nipagare il conto di quelle stagioni proprio mentre mette in campo un’ambiziosa riforma fiscale. Il capitolo si intitola, significat­ivamente, «La spesa difficile». La premier deve evitare – avverte De Romanis – di cadere preda di un momento Truss. Il riferiment­o è alla riforma fiscale dell’ex premier inglese Liz Truss: massicci tagli ai redditi alti spesaticon­aumentodel­debitoinpr­esenza di inflazione e tassi in aumento. Meloni ha capito bene la lezione che è costata il posto alla premier inglese crollata assieme alla sterlina. Tuttavia Meloni deveancora­usciredaun­atrappola:quella di aver finanziato la prima parte della riforma fiscale per un solo anno e con più deficit. Se non proprio un pasto, come minimo un antipasto. Il conto: 14 miliardi. Alla romana, bimbi inclusi, fanno 235 euro a testa.

Veronica De Romanis

Il pasto gratis. Dieci anni di spesa pubblica senza costi (apparenti)

Mondadori, pagg. 166, € 17,50

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FRANCO MATTICCHIO Matticchia­te

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