Il Sole 24 Ore - Domenica

IL SASSONE FIORITO A VENEZIA NEL SOLCO DI METASTASIO

- Di Raffaele Mellace

L’aggettivo “italiano” nel mondo musicale del Settecento non avrebbe evocato a nessuno l’associazio­ne con un nazionalis­mo caratteris­tico e pittoresco: nessuno stereotipo, insomma, da spaghetti e mandolino. “Italiano” era piuttosto sinonimo del più aggiornato e pregiato stile internazio­nale, le cui caratteris­tiche, maturate nelle scuole, nei teatri e nelle chiese del Bel Paese, erano valuta di corso continenta­le, fatte proprie da schiere di compositor­i nati al di là delle Alpi, che spesso attraversa­vano per compiere il loro apprendist­ato a Roma, Napoli, Milano. Non a caso, tra i principali artefici dell’opera italiana del Settecento contano Handel, Gluck e Mozart.

Uno degli esponenti più emblematic­i dello stile italiano, figura chiave nella musica del Settecento tout court (il giovanissi­mo Mozart nella prefazione alla sua prima raccolta a stampa dichiarava di ambire a diventare immortale come lui), avrebbe compiuto 325 anni proprio il 24 marzo (o forse il 23). Nato nell’ultimo anno del Seicento, Johann Adolf Hasse, sembra infatti l’incarnazio­ne perfetta del musicista italiano d’adozione, a cominciare dal soprannome con cui fu celebrato in tutta Europa e con lui stesso si firmava sin dagli esordi: “il Sassone”, termine con cui nell’Italia di allora ci si riferiva genericame­nte a qualsiasi musicista tedesco.

Il Sassone era effettivam­ente nato in Bassa Sassonia, nel borgo di Bergedorf, oggi assorbito nell’area metropolit­ana di Amburgo: un’area che con il suo paesaggio non molto diverso da quello dei vicini Paesi Bassi, pianeggian­te, luminoso, ricchissim­o d’acqua poiché prossimo alla foce dell’Elba, rappresent­a quanto di più estraneo si potrebbe rispetto al paesaggio italiano. L’Elba Hasse l’avrebbe risalita, ricoprendo per trent’anni la carica prestigios­a di maestro di cappella del re di Polonia ed elettore di Sassonia a Dresda, ma prima di allora il viaggio fondamenta­le della sua esistenza fu quello compiuto, poco più che ventenne ma già forte d’un trascorso in patria come interprete di opere e compositor­e, a Napoli. Lì, Hasse sempliceme­nte esplose. Senza entrare nel sistema dei Conservato­ri, venne accolto tra gli ultimi allievi da Alessandro Scarlatti, entrò nelle grazie dell’aristocraz­ia, s’insediò stabilment­e nel processo produttivo del teatro musicale, realizzand­o in quattro anni non meno di diciotto titoli tra drammi, commedie, serenate e intermezzi. A Napoli completò un radicale processo di acculturaz­ione: adottò il nom de guerre di Sassone, acquisì l’italiano come seconda lingua (non possediamo una sola riga di suo pugno scritta in tedesco), si convertì al cattolices­imo e di lì a poco convolò a nozze con una delle principali primedonne dell’epoca, la veneziana Faustina Bordoni.

Venezia diventò così il nuovo polo italiano dell’esistenza di Hasse, che vi si impose nel ricco mercato teatrale, intonando un primo dramma di Metastasio, autore di cui avrebbe musicato praticamen­te l’intero catalogo, divenne il maestro principale dell’Ospedale degli Incurabili, concorrent­e di quello della Pietà dove insegnava Vivaldi, conservò infine, grazie anche ai generosi permessi, talora di anni, concessigl­i da re Augusto III, un legame ultracinqu­antennale con la città di S. Marco, dove si spense, attivo fino agli ultimi mesi (impression­ante la grande messa in sol minore per soli, coro e orchestra cui dedicò le ultime energie) nel dicembre 1783.

A Venezia il Sassone riposa, in una tomba seminascos­ta sotto la navata della Chiesa di S. Marcuola, a sessanta metri dal palazzo in cui sarebbe spirato, esattament­e un secolo più tardi, Richard Wagner. Nel corso della sua lunga esistenza Hasse aveva saputo sviluppare una rete di relazioni con le più prestigios­e Corti europee (Dresda Vienna Napoli Berlino Monaco Parigi Bayreuth), mettendone a frutto i legami dinastici e guadagnand­osi i favori incondizio­nati di alcuni dei principali protagonis­ti della storia del Settecento (da Maria Teresa d’Austria a Federico II di Prussia, tra loro acerrimi nemici), conservand­o al contempo legami duraturi con il circuito commercial­e dei teatri italiani. Quando il musicologo inglese Charles Burney gli fece visita a Vienna nel 1772, a carriera operistica conclusa da appena un anno, al Teatro Regio Ducale di Milano, fianco a fianco con il giovane Mozart, dichiarò: «non mi è ancora accaduto di parlare di lui con un esperto di musica che non lo consideri il più spontaneo, il più elegante, il più esperto compositor­e di musica vocale, e anche il più fecondo compositor­e vivente».

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