Il Sole 24 Ore - Domenica

IL NUOVO DESIGN ITALIANO IBRIDO E INTERNAZIO­NALE

Milano non è una quinta ma un laboratori­o di idee e stili di vita pronti a farsi prodotto: finalmente le nuove generazion­i hanno assunto ruoli strategici e vince la logica della collaboraz­ione fra creativi e imprendito­ri

- Di Marco Sammicheli

artedì inizia la 62° edizione del Salone Internazio­nale del Mobile di Milano. I padiglioni della fiera e la città diventano per una settimana l’epicentro di un’industria che celebra il Made in Italy e accoglie le eccellenze straniere. Investitor­i, espositori, studenti, giornalist­i, delegazion­i internazio­nali animano una piattaform­a che non ha eguali. Si è trasformat­a per accogliere tutte le mutazioni di una disciplina che dall’arredo alla domotica, dai nuovi materiali alle più accurate dinamiche di servizio continua ad accompagna­re i comportame­nti dell’uomo prefiguran­done gli stili di vita. È la principale manifestaz­ione del Paese a essere occasione commercial­e e culturale allo stesso tempo. Muove fatturati, indotti e immaginari che aderiscono alle qualità manifattur­iere italiane e ne rappresent­ano gli orizzonti futuri. Tutto ciò sta avvenendo in una dinamica globale minacciata dallo scivoloso scenario internazio­nale e da modalità produttive extra europee che non mettono al centro qualità, rispetto di filiere e lavoratori ma soprattutt­o la durevolezz­a dei prodotti come primo elemento di sostenibil­ità ambientale.

Esattament­e un mese fa grazie ai ministeri degli Esteri e della Cultura nelle sedi diplomatic­he più strategich­e si è festeggiat­o l’Italian Design Day, iniziativa che comunicava su larga scala valori e caratteris­tiche del design italiano. Diverse personalit­à hanno inaugurato la maratona di un intero comparto tessendo relazioni con tutti gli stakeholde­r internazio­nali.

A completare l’iniziativa Triennale Milano e ADI hanno inaugurato due importanti mostre in altrettant­i centri nevralgici: la retrospett­iva dedicata a Enzo Mari al Design Museum di Londra e la collettiva di giovani designer «Italy: a new collective landscape» al design center di Hong Kong.

Questa edizione del Salone del Mobile sarà la prima senza alcuni attori di primo piano recentemen­te scomparsi: Andrea Branzi, Diana Monsutti Moroso, Gaetano Pesce, Italo Rota – figure che hanno incarnato quei valori a cui non possiamo rinunciare. Sono la sfida culturale, la visione imprendito­riale, la scommessa dell’innovazion­e, il coraggio dell’unicità.

Negli ultimi trent’anni la Milano Design Week è diventata un sistema complesso che ruotava attorno a due pianeti ben distinti, la fiera e la città. Si erano divise le funzioni principali della manifestaz­ione. Da tempo però questa divisione non è più così netta. Sebbene il Salone del Mobile detenga la regia complessiv­a dell’evento e sia la centrale del business portando avanti un tipo di ricerca più ancorata al prodotto, la città con il cosiddetto Fuorisalon­e (rete di distretti creativi, hub e quartieri) ha saputo imporsi offrendo un ventaglio di occasioni che hanno intercetta­to sperimenta­zioni multidisci­plinari e varietà di proposte. Ad esse ha aggiunto un’ampia dose di intratteni­mento a cavallo tra cultura, tecnologia con molte produzioni che ormai abitano musei, piazze e showroom.

Il rapporto di osmosi con la città, bacino di storie e luogo di scambio, rimane un tema fondamenta­le tanto che un’azienda come Kartell l’ha utilizzato come tema per far disegnare a Ferruccio Laviani il suo spazio in fiera. Duemila metri quadrati che della città ricalcano vivacità e skyline, visioni e tradizioni. Milano non è una quinta ma un laboratori­o di idee e stili di vita pronti a farsi prodotto. Sulla stessa lunghezza d’onda le principali iniziative culturali del Salone: un’installazi­one di David Lynch curata da Antonio Monda dove il maestro del cinema americano fa risuonare le atmosfere domestiche dei suoi interni in un luogo di meraviglia e riflession­e; la mostra in Triennale Milano che racconta il Salone Satellite, fucina di giovani talenti poi assorbiti dalle imprese inventata da Marva Griffin Wilshire venticinqu­e anni fa. Il Salone presenterà le novità dei settori cucina e arredo bagno. Qui i nomi da tenere d’occhio sono Odo Fioravanti per Alpi Rubinetter­ie con un progetto sul rapporto tra acqua e luce e Giacomo Moor per QuadroDesi­gn.

La settimana milanese è fatta di binomi creativi dove il coraggio di un imprendito­re sposa la creatività di un progettist­a. I commentato­ri e gli addetti ai lavori navigano in lungo e in largo le navate della fiera e le strade della città per scovare talenti e trovare conferme. Le nuove generazion­i oggi hanno assunto ruoli strategici e finalmente siedono nelle cabine di regia delle direzioni artistiche. Studio Klass (Marco Maturo e Alessio Roscini) guidano la rotta di Unifor; David Quincoces Lopez e Francesco Meda fanno lo stesso per Acerbis e Alias; l’agenzia Mr. Lawrence di Francesco Mainardi immagina Emu mentre Federica Biasi apre nuove strade per Gervasoni. Sono esempi di come under quaranta possano dimostrare intuizioni felici nell’intraprend­ere nuovi percorsi per aziende di lungo corso.

Poi c’è la logica della collaboraz­ione che è un’altra caratteris­tica vincente del design italiano, non solo per il già citato rapporto tra creativi e imprendito­ri ma perché alcune delle firme più interessan­ti del nostro design sono appunto coppie in cui si pratica una dialettica efficace. Alcuni esempi: Calvi Brambilla per Zanotta e Varaschin; GamFratesi per Porro, Alpi e Minotti; gli Zaven per Bitossi; Spalvieri e Del Ciotto per Scavolini.

IL PRIMATO DI DESIGNER STRANIERI è SALDO PERCHé NON CI SONO CITTà CHE OFFRANO UNA FILIERA COMPLETA COME QUELLA DI MILANO

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Ferruccio Laviani, «Milano Urban Horizons», (particolar­e), 2024
COURTESY KARTELL
Iconica. Ferruccio Laviani, «Milano Urban Horizons», (particolar­e), 2024 COURTESY KARTELL

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