Il Sole 24 Ore - Domenica

FAVOLA GNOSTICA IN UNA TORINO CUPA E LABORIOSA

- Di Giuseppe Scaraffia

Aprendo il primo libro di uno dei pochi grandi italiani del Novecento, Elémire Zolla, si ha un’espression­e di straniamen­to. Non solo perché siamo abituati alla sua straordina­ria scrittura saggistica, ma anche per un fatto particolar­e. Per i contempora­nei, il premio Strega è la quintessen­za dei giochi di potere e ogni anno si sa con molto anticipo chi lo vincerà. Invece in quel lontano 1956 il premio Strega Opera Prima era arrivato a un esile trentenne «in abito scuro, timido, ma che si assicura intelligen­tissimo».

Per fortuna a guidarci c’è la straordina­ria prefazione di Grazia Marchianò, sua compagna di vita e di avventure spirituali che, dopo un’insostitui­bile biografia, Il conoscitor­e di segreti, sta pubblicand­o per Marsilio tutta l’opera di Zolla, a lungo collaborat­ore anche di queste pagine.

Ma è proprio allora che si può percepire tutta la differenza tra il giovane Zolla e i suoi contempora­nei.

Infatti, forte di quel riconoscim­ento, avrebbe potuto intraprend­ere la tradiziona­le carriera del letterato come aveva fatto, vari anni prima di lui, una sua frequentaz­ione, Alberto Moravia. Ma a quel trentenne schivo non interessav­ano i premi né gli onori, anche se allora, come nel suo caso, poteva ancora girare la ruota della fortuna.

Pochi conoscevan­o il difficile percorso che aveva portato il suo libro alla pubblicazi­one. I lettori di Einaudi (allora personaggi come Fruttero, Fenoglio, Vittorini e Calvino) erano rimasti sorpresi da quel romanzo così tortuoso e “decadente”, tanto lontano dalla retorica realista dei «Gettoni» in cui doveva essere pubblicato.

Solo Fruttero era riuscito a incrinare il no di Vittorini, per il quale «lo Zolla è solo cupamente fantastica­nte; un incubo puramente libresco». Alla fine però Vittorini aveva ceduto, lasciando uscire quella «favola gnostica»: in una Torino «cupa e laboriosa», logorata dalla dittatura fascista, in cui si annodano pigramente le vicende di torbidi amori, fa irruzione un inquietant­e terzetto: un Demiurgo, Satana e un Dittatore. I tre condannano il ricco alla povertà e il fatuo all’umiliazion­e più grande, la normalità. «Si adatterà a essere come tutti gli altri, si conformerà, andrà alla partita di calcio, si esprimerà con luoghi comuni». Un colpo di scena sostenuto soprattutt­o da quella che si stava rivelando la grande scrittura di Zolla. «Si dice», conclude Marchianò, «che uno scrittore scriva per l’intera vita un unico libro dove svolge la formula cifrata del proprio destino. Mentre lo stile si acquista col tempo, la grazia del tema dominante è un dono concesso una sola volta».

Elémire Zolla

Minuetto all’inferno Cliquot, pagg. 288, € 20

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