IL DIVINO FIGLIO DEL DOLORE
«Eroica», romanzo poliglotta, ha come protagonista Loízos, figura d’Achille, colto quando tutto muta per la morte di un amico. Un Bildungsroman che coincide con la fine di un’epoca
Cinquanta giorni, come nell’Iliade. Il giovane divino, «figlio del dolore», Loízos dall’urlo potente, indice i giochi funebri per il compagno morto, Andreas. Cos’è l’eroismo? È «compiere un’azione da soli, senza obbedire a un ordine, senza scopo o guadagno, così, per fronteggiare la vita secondo un ordine di valori solo tuo» niente a che fare con la virtù eterodiretta di un Leonida alle Termopili, morto «obbedendo ai loro mandati»... Ecco il testamento ideale che il quindicenne Loízos, figura d’Achille, lascia in eredità ai ragazzi della sua banda, campioni di scherzi e di bravate in una Graeca urbs tra il mare e la collina, nel volgere di otto settimane tra la Candelora e l’Incarnazione - l’autodafé conclusivo, fatale e palingenetico a un tempo, si data al 25 marzo, e nell’ultima riga arriva l’Arcangelo Michele.
Un tempo sospeso di inizio XX secolo, certo prima della Grande Guerra (ma il romanzo, Eroica, esce nel 1937): un tempo «in cui sono nate le cose belle e buone», un tempo che profuma dell’imminente fine di un’età, quando in un baleno tutto muta per la morte improvvisa di un amico (che è più di un amico, come Patroclo), per l’impatto col mondo degli adulti, per la scoperta dolce e terribile dell’eros. La femme fatale, l’Elena, la Briseide, sarà Monica, una garrula e minuta adolescente dalle mani luminose e diafane come una Madonna di El Greco: sarà lei il sogno di tutti i giovani, dal narratore Paraskevàs al co-protagonista Alekos, il quale (benché a sua volta amato, come Achille, da una Polissena) arderà dal desiderio di «rapirla e portarla lontano per compiere qualche azione eroica» - e per poco non finirà per trascinare tre volte Loízos attorno alle mura...
Anche il luogo è sospeso: la città è senza nome (spunta un’«Elemintha», che sa di terra e sa di Elitis), l’altrove in cui tutto cambia è Defkalia (c’entra Deucalione?), mentre l’elmo dei ragazzi - senhal decisivo nella trama - è quello dei pompieri di Smirne, la patria perduta a cui Kosmàs Politis, che vi era nato nel 1888, dedicherà anni dopo il romanzo Da Chatzifrangos. Ma la città più affine, coi suoi viali, il suo verde e le sue alture, è Patrasso, là dove il romanzo nacque mentre l’autore vi lavorava come bancario, ormai separato dalla moglie Clara Crespi, melomane e antica corrispondente di Mahler (tornerà da lei ad Atene - per vivere di libri, giornali e traduzioni - dopo la tragica morte della loro figlia Knouli durante l’Occupazione tedesca nel ‘42).
Esile, l’Eroica: uno scherzo con l’idrante, un grande ballo in maschera di carnevale, una gita in battello, una notte di follia: il veloce e traumatico coming of age dei protagonisti ricorda altri Bildungsromane (il modello è Le grand Meaulnes di Alain-Fournier), ma si colora di un forte retaggio simbolista, a tratti onirico (i gatti, le dame, il giardino incantato), nonché di inconfondibili caratteri locali. Anzitutto, quella compresenza di un’alta borghesia greca e internazionale (famiglie ebraiche, conventi francesi, tate britanniche, cognomi italiani, scuole americane) che rendeva Smirne, Patrasso, Alessandria, Atene, Salonicco dei veri melting pots culturali: non è un caso che i personaggi di questo romanzo poliglotta di «Kosmàs Politis» (pseudonimo parlante di Paris Taveludis) citino nursery rhymes francesi, motti in italiano o in tedesco, versi di Racine, Mozart, Flaubert, Pound, al pari di
Omero, dei primi rebétika o delle filastrocche d’antan.
La cripto-citazione più densa, all’ombra di un platano, è per un canto della struggente Leggenda (1935) di un altro profugo smirniota, Giorgio Seferis, anima della rivista ateniese «Lettere nuove» che fu la culla del modernismo greco: fu proprio lì che nel ’37 uscì l’Eroica, la cui raffinatezza d’avanguardia fu svelata anni fa dal compianto neoellenista Peter Mackridge. Un’elaborata costruzione dei piani narrativi (la storia è raccontata da uno dei ragazzi, ma a vent’anni di distanza); la musica ovunque (il titolo rimanda alla sinfonia di Beethoven, ma il ritmo, il canto, la melodia strutturano il testo - in questa prima traduzione italiana Gilda Tentorio, al netto di qualche svista, rende giustizia a un dettato non facile); una trama tenue guarnita di episodi, descrizioni, excursus; un ruolo costante dell’ironia; il discorso indiretto libero, il monologo interiore, lo stile a tratti cinematografico - il capitolo del ballo è un lungo piano-sequenza à la Sokurov, anche se la riduzione filmica di Cacoyannis, del 1960, banalizzerà (dice in un passo lo zio Platon - nomen omen - all’uscita da una proiezione: «mi è sembrato di
IL LIBRO APPARE IN UNA HUMUS DI CRISI: NEL SECONDO ANNO DELLA DITTATURA DI IOANNIS METAXàS
aver vissuto al buio una vita che non ricordo fosse la mia»).
Eroica è anche una fuga: l’eroismo poetico della «vecchia guardia» greca (da Kostìs Palamàs ad Ánghelos Sikelianòs), avvizzito dopo la catastrofe micrasiatica del ’22, lasciò il passo, tra gli scrittori dei maturi anni ’30, a narrazioni nostalgiche incentrate su quell’intraducibile concetto che è la palikarià, la vigoría spavalda e un po’ incosciente dei baldi giovani. Narrazioni proiettate verso un orizzonte perduto, come la Costantinopoli in guerra (l’autobiografico Leonís di Giorgio Theotokás), la Rèthimno della tradizione popolare (la corale Cronaca di una città di Prevelakis), o la Mitilene ancora turco-greca (il gradasso Vassilis o Arvanitis di Stratis Mirivilis). È in questa humus di crisi che appare l’Eroica, nell’anno II della dittatura di Ioannis Metaxàs: «qualcosa di nuovo era nell’aria, qualcosa stava cambiando – forse i nostri ideali mutavano insieme alla vita».
Kosmàs Politis
Eroica
Traduzione di Gilda Tentorio Crocetti, pagg. 246, € 18